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Sintana e il furto della coca
Sintana and the theft of the coca plant
I nativi Kogi– chiamati anche Kogui o Cágaba – vivono nella Sierra Nevada de Santa Maria, in Colombia e appartengono alla famiglia etnica degli Arhuaco. Sintana è un eroe culturale dei Kogi, in seguito divinizzato. Sono state raccolte alcune versioni di un medesimo tema mitologico, quello del furto della coca da parte della figlia di Sintana per darla a suo padre; questa figlia, denominata Bunkuéi o Bunkuéiji, è sia una ragazza che un cervo. Questo tema mitologico fa parte del ciclo di racconti “La figlia di Sintana, Bunkuéi il cervo”; si tratta di un mito fondante l’uso della coca, che spiega fra l’altro la differenziazione sessuale delle azioni associate a questa pianta psicoattiva, con la raccolta delle foglie da parte delle donne e la preparazione e utilizzo della coca da parte degli uomini. Come di frequente accade nello studio della mitologia, le quattro versioni qui riportate apportano ciascuna elementi esplicativi non presenti nelle altre.
La prima versione, quella maggiormente esplicativa, fu pubblicata nel 1949 da Reichel-Dolmatoff nel suo saggio antropologico sui Kogi:
Sintána viveva nel cielo. Sua figlia era Bunkuéiji, il cervo. Quando era nella casa era donna, ma quando usciva fuori si trasformava in cervo. Un giorno Bunkuéiji disse a Sintána: “Padre, tu non hai coca”. Sintána disse: “Non ce l’ho”. Allora Bunkuéiji disse: “Vado a cercarti della coca”.
Quindi disse a suo fratello Hirvuixa: “Vai tu alla spiaggia a cercare conchiglie per bruciare calce, e io vado sulla terra a cercare coca per nostro Padre”. Hirvuixa scese dal cielo e si diresse verso la spiaggia, e Bunkuéiji si trasformò in pipistrello e scese anch’essa sulla terra. Giunse a Noaméiji. Lì viveva Máma Ili1 e aveva molta coca seminata. Bunkuéiji si trasformò in cervo e mise le sue corna fra le foglie verdi dei cespugli. Allora tutte le foglie si bruciarono [tostarono] e caddero al suolo. Portò a Sintána nove zaini pieni. Quando Ili vide che tutta la sua coca si era bruciata disse: “Di sicuro qui coabita una donna con un uomo. Per questo la mia coca si brucia”. Prese un grande orcio e lo interrò, e vi si nascose per vedere chi danneggiava in quel modo la coca. Allora Ili vide come veniva un cervo. Questi mise le sue corna fra le foglie e queste si seccarono. Ili lo afferrò per un piede e disse: “Perché rubi la mia coca?” Arrivarono molte persone e tutti dissero: “Devi pagare una multa per aver rubato la coca”. Bunkuéiji disse: “Mio padre pagherà la multa”. “No, la devi pagare tu”, dissero tutti. Allora Ili coabitò con Bunkuéiji e si sposò con lui.
Quando Bunkuéiji non era ancora donna,2 era un cervo e bruciava la coca con le sue corna. Ma ora divenne donna e non poté più bruciarla. Per questo motivo gli uomini non devono raccogliere le foglie verdi bensì le donne. Ma gli uomini devono bruciare [tostare] le foglie e non le donne.
Allora Bunkuéiji tornò in cielo e cercò suo padre Sintána. Non lo trovò. Vide che Sintána era per terra, come morto. Aveva la bocca secca.3 Allora Bunkuéiji gli mise in bocca della coca e Hirvuixa gli diede della calce. Quindi Sintána starnutì. Quando starnutì in questo modo, uscirono dalla sua bocca molte farfalle bianche e azzurre. Da lì vengono le farfalle. Allora Bunkuéiji tornò indietro e scese un’altra volta sulla terra, dove stava Ili.4
La seguente versione è stata narrata da Padre Miguel Nolavita agli inizi degli anni 1920 a Konrad Preuss, l’altro grande studioso (oltre a Reichel-Dolmatoff) che svolse approfonditi studi antropologici sul campo dei gruppi Kogi:
All’inizio dei tempi il cervo era una ragazza di nome Bunkuéi, la figlia del sacerdote Sintana.
Quando il cervo vide suo padre, si accorse in lontananza che mangiava dal barattolo della calce. Allora la figlia5 interrogò suo padre e disse: “Padre, per quale ragione io non ti vedo mangiare dal barattolo della calce quando mi avvicino?” A queste parole il sacerdote Sintana rispose a sua figlia: “E cosa mangiavo dunque dal barattolo della calce?” Allora sua figlia disse ancora una volta: “Padre, mangia dal barattolo della calce, affinché io ti veda mangiare”. Il sacerdote Sintana si mise poi a mangiare dal barattolo della calce, mentre sua figlia stava a guardare.
In seguito, così parlò il sacerdote Sintana a sua figlia: “Figlia mia, puoi cercarmi della coca?” Al che la figlia rispose a suo padre: “Padre, io cercherò coca per te”.
Il giorno dopo il cervo si consultò con suo fratello maggiore Híhuika e gli disse: “Fratello maggiore, tu va in riva al mare, a cercare conchiglie (per la preparazione della calce) per nostro padre, mentre io” – così disse Bunkuéi – “andrò a cercare coca per nostro padre”.
Il giorno dopo suo fratello maggiore Híhuika andò in riva al mare, e vi rimase per sette giorni a cercare conchiglie per suo padre; anche sua sorella minore per sette giorni andò là, per procurare coca per suo padre.
Bunkuéi tornò indietro sette giorni dopo la partenza, e lo stesso giorno tornò anche suo fratello maggiore Híhuika. Dopo sette giorni si recarono entrambi dal loro padre. Essi lo fecero una, due, tre, quattro, cinque, sei e finalmente sette volte, e cercarono per il loro padre coca e conchiglie.
Ma ecco che il sacerdote Ili scavò la terra al centro del campo di coca e si ricoprì con essa. Quando Bunkuéi si fu avvicinata alla coca e si accinse a raccoglierla, Ili la catturò, giacché in quel momento ella aveva sembianze umane.
Bunkuéi raccoglieva solo coca tostata.6 Raccoglieva la coca, infilava infatti la testa tra le foglie, al che tutta la coca veniva tostata, e così lei la raccoglieva – fintanto che Ili non ebbe dormito con lei.
Quando Ili la prese (e cioè dormì con lei), le foglie di coca diventarono verdi, e in seguito tutti dovettero tostare la coca. Quando Ili dormì con lei, non poté più raccogliere foglie di coca tostate. Questo è quanto hanno riportato i sacerdoti.
Era notte, quando Bunkuéi si recò nel campo di coca. Il giorno seguente a mezzogiorno tutto il popolo di Suvi, il padre di Ili, tostava la coca e mandò via Bunkuéi.
Bunkuéi si mise in cammino e dal fiume, in basso, risalì sotto sembianze umane verso la dimora di suo padre. Allora essa vide che anche suo fratello maggiore Híhuika non aveva ancora portato della calce, ed entrò poi da sua madre Gauteóvan.
Le domandò: “Dov’è nostro padre?” A queste parole Gauteóvan rispose: “Non so, vostro padre è caduto, giace giù al tempio”.
Giunse anche Híhuika, ed ella insieme a suo fratello maggiore scese laggiù per fare visita a suo padre. Lì, al di sotto del tempio, videro il padre con la bocca completamente secca, lui, che amava così tanto la coca.
A questa vista Bunkuéi e suo fratello maggiore Híhuika gli infilarono in bocca coca e calce in abbondanza. Poi Sintana fece uno sternuto e sternutì via, in una nuvola di fumo, la coca e la calce che gli erano state infilate in bocca. Questo fece Sintana, affinché oggi ci fossero farfalle blu e bianche.
Allora suo padre si alzò e Bunkuéi, insieme a suo fratello maggiore Híhuika, lo condusse al suo tempio. Là suo padre Sintana così parlò: Voi capite che non dovete più badare a me”. Poi egli conservò il barattolo della calce e il resto, per non mangiare più coca. Dopo che Bunkuéi e Híhuika si erano comportati in tal modo con loro padre, scesero qui a Palomino e qui non lo videro più.7
Quest’altra versione è stata raccolta nel 1947 da M. Chaves. Magri è la Madre del genere umano, più nota col nome di Naowa.
Anticamente non c’era coca, e gli indios soffrivano la fame. Sintana chiese la coca alla Magri. Presso di questa viveva una donna piccolissima; Sintana la prese e la mutò in coca. Nuamiskagve, figlio di Sintana, la seminò in un tronco; quando la pianta crebbe, presero il seme e lo portarono a Taminaka, e là, in una vasta pianura, seminarono la coca.
In quel tempo, La Magri aveva la sua Casa delle Cerimonie; un giorno Sintana fece da mangiare, ma non gli riuscì bene; andò a prendere la coca e provò a cucinarla, ma neanche la coca gli riuscì bene. Allora cucinò la Magri, e vi riuscì benissimo.8
Allora Sintana ordinò agli uomini di non raccogliere la coca, perché devono farlo le donne, e disse alle donne di non mangiare la coca, perché fa dolere loro lo stomaco e procura diarrea e mal di denti. Poi disse che neanche l’uomo deve mangiarla prima di essere battezzato, perché il Mama,1 quando lo battezza, deve dargli la coca, la zucca, e il legnetto per portare il cibo alla bocca.
Il Mama deve anche consigliargli di mangiare coca quando si trova con gli altri uomini nella Casa delle Cerimonie, per udire i consigli del Mama e conversare.9
Un’ulteriore versione del tema del furto della coca fu raccolta sempre da Konrad Preuss e pubblicata nel 1921-22. Qui la coca ha il nome data dai Kogi, cioè /hayu/. Interessante notare che in questa versione il sacerdote-stregone vittima del furto di coca, qui chiamato Mama Suvi, risulta essere il “padre” della coca.
Sintana manda Bunkuei, sua figlia, a rubare /hayu/ lontano, poiché egli ne aveva solamente uno o due cespugli. Allora Bunkei si recò dove c’era abbastanza /hayu/ e raccolse la coca che era pronta, e prese con sé anche dei semi per seminarla. Poi stavano pensando e si resero conto che si deve chiedere il permesso. La gente disse pettegolezzi, dopo sei giorni non c’erano più. La gente si chiese: “Chi se lo porterà via?”; pensarono che era qualcuno della loro casta, un cugino o uno zio. Ma la gente stette zitta, non diede consiglio a Sintana.
Chiesero a Sintana: “Chi ha rubato?”. Si stava rubando molto. Questo risponde: “Ho solamente due vassalli e le mie due figlie, nulla più”.
Gli si terminò nuovamente l’/hayu/ e lo dice a Bunkei. Bunkei gli chiede dove cercarla. Ma ella medesima sa dove ed esce. Giunse nel pomeriggio, quasi di sera. Durante il giorno – attenzione si vede! – deve camminare facendo attenzione. Bunkei è sicura che nessuno l’aveva vista e prese semi di /hayu/. Mama1 Suvi, il padre di /hayu/, si rende conto che gli stanno rubando. Segue le orme e vede fino alla metà del cammino: sono impronte di gente e poi cambiano in impronte di cervo. Mama Suvi si incontra con Sintana e gli domanda: “Chi era?”. Esige che faccia divinazione per sapere quale cervo sta rubando. Sintana gli risponde: “Sarà un cervo selvatico?” Mama Suvi lo avvisa che ucciderà il cervo ladrone quando lo incontrerà, e lo caccerà con un cagnolino che anch’esso lo può ferire.
Bunkei uscì un’altra volta per cercare /hayu/ sino all’alba. La gente vede il cervo, segue le sue impronte e cerca sino a dove era andato. Mama Suvi manda il suo cagnolino dietro al cervo. Il cervo giocando sale su un filo e poi scende. L’impronta si perde e scappa. Non si sa dov’è. Ancora una volta il cagnolino corre dietro al cervo, e ritrova l’impronta. Ma il cervo entra nella casa di Sintana e la pista si perde. Anche il cagnolino appartiene a Sintana, fu solamente prestato a Mama Suvi, non minaccerà mai il cervo. Bunkei cambia nuovamente di camicia.10,11
Note
1 – Máma o mama significa sacerdote-stregone (sciamano).
2 – Cioè quando era ancora vergine.
3 – Aveva sete.
4 – In: Gerardo Reichel-Dolmatoff, 1996 (1949), Los Kogi de Sierra Nevada, Bitzoc, Palma de Mallorca, pp. 162-163.
5 – Quando era lontana, ella assumeva le sembianze di un cervo, vicino e nella capanna quelle di una persona.
6 – Le foglie di coca vengono masticate solo tostate.
7 – In: Konrad T. Preuss, 1921-22, Forschungsreise zu den Kágaba-Indianern der Sierra Nevada de Santa Maria in Kolumbien, Anthropos, vol. 16-17, pp. 737-764, pp. 752-755.
8 – Nel motivo della cottura della Magri, la madre del genere umano, v’è forse da ravvisare una forma di sacrificio, connesso all’arrivo sulla terra della nuova pianta. Questo racconto fa riferimento al motivo della fame in cui versa l’umanità, una fame che viene effettivamente alleviata dagli effetti della coca; ma è pur possibile che la condizione di fame e di carestia rappresenti quella condizione di “crisi” precedente il primo contatto umano con la pianta, che caratterizza vari miti d’origine di piante psicoattive.
9 – In: Milciades Chaves, 1947, rip. in Raffaele Pettazzoni, 1963, Miti e leggende, 6 voll., UTET, Torino, vol. 5, p. 151.
10 – Cioè, si trasforma nuovamente in ragazza.
11 – Questa versione è stata riportata da Preuss (vedi nota 8), e tradotta in castigliano in: Manuela Fischer & Konrad Th. Preuss, 1989, Mitos Kogi, Ediciones Abya-Yala, Quito, pp.191-192.
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