Mammiferi e alcol

Mammals and alcohol

 

Orsi e alcol

Il lappone Joahn Turi, nella sua biografia datata al 1910, riportava quanto segue riguardo alla caccia all’orso:

“Bisogna conoscere i posti che l’orso frequenta. Quindi bisogna mettere dell’acquavite in una ciotola d’argilla azzurra, in mezzo a un cespuglio di ginepro o fra le betulle nane. Quando l’orso arriva in quella zona l’annusa già a distanza e la va subito a cercare, e quando la trova la beve tutta, non importa quanta ce n’è. E allora è tanto ubriaco che non capisce assolutamente niente e strilla e si dimena in tutti i modi, e lo si sente da lontano. All’alba e al tramonto si va in giro ad ascoltare e quando si sente l’orso si va lì a sparargli, non sente niente e non fiuta niente. E può anche bere e svenire.
Capita anche che trovi l’acquavite e la beva, e quando la sbornia gli passa torna spesso a cercarla. Quando si è riusciti a farlo bere una volta è facilissimo, si rimette l’acquavite e ci si apposta, è sicuro che verrà regolarmente, e nemmeno si allontana tanto dai posti dove ha già trovato l’acquavite” (Turi, 1991, p. 111).

Turi affermava che anche le renne venivano catturate offrendo loro dell’acquavite (id., p. 70).

Questo comportamento dell’orso rientra fra i comportamenti intenzionali condizionati (si veda Animali che si drogano), poiché influenzati dall’uomo. Tuttavia, è molto probabile che nell’orso vi sia un comportamento intenzionale naturale nell’avvicinarsi alle fonti alcoliche, quali dei frutti in fermentazione, così come è possibile che i Lapponi abbiano elaborato questa tecnica di avvicinamento e di caccia dell’orso in seguito all’osservazione della preferenza in natura dell’orso delle fonti alcoliche.

L’etnografo Kulemzin Vladislav, del Tomsk State University, riportava nel 1948 che “un orso mangia l’Amanita muscaria durante la stagione dei calori con lo scopo di non avere paura” (comunicazione a Saar Maret, 1991, p. 163).

Sempre riguardo gli orsi, fra le etnie dell’India centrale è diffusa la credenza che questi animali si inebrino con i carnosi fiori fermentati dell’albero del mahua (Madhuca longifolia var. latifolia, Sapotaceae), dai quali l’uomo ricava sin dall’antichità un liquore distillato (Dunbar Brande, 1927, p. 7 e Elwin, 1949, p. 231). Dunbar Brande riportava che:

“Il tempo dell’abbondanza è quando il calice carnoso dell’albero del Mohwa [mahua] sgocciola continuamente, ed è una visione straordinaria vedere gli orsi che competono l’uno con l’altro per essere i primi sul posto. Il grosso della bevanda spiritosa del luogo è distillato da questi fiori, che vengono attentamente raccolti dalla gente del posto durante il giorno, ma la notte appartiene all’orso, ed è il caso di primo arrivato primo servito. V’è una comune credenza che a volte gli orsi si inebriano come risultato del mangiare i fiori fermentati. Il comportamento normale dell’orso può essere così eccentrico che nessun poliziotto dell’East End giurerebbe che non fosse sotto “l’influenza”. Una notte alla luce della luna nel Melghat, accampato accanto ad alcuni alberi di Mohwa, dall’entrata della tenda vidi sette orsi nel giro di un’ora correre da un albero all’altro” (Dunbar Brande, 1927, p. 7).

 

Elefanti e alcol

Da tempo è nota la passione che hanno certi elefanti per l’alcol. In Africa questi pachidermi sono golosi dei frutti degli alberi di diverse specie di palme, soprattutto i frutti di doum, Hyphaene sp. Mart., marula, Sclerocarya birrea (A. Rich.) Hochst., e palmira, Borassus sp.

Quando maturi, questi frutti tendono a fermentare velocemente, alcuni quando sono ancora attaccati all’albero. Gli elefanti si cibano dei frutti in fermentazione caduti al suolo, quindi agitano e colpiscono l’albero con la proboscide e con il corpo per fame cadere altri. Il processo di fermentazione del frutto parrebbe produrre alcol etilico in concentrazioni sino al 7%, e questo processo continua quando il frutto si trova nell’apparato digerente dell’animale, con conseguente produzione e assorbimento di ulteriori quantità di alcol. Se gli elefanti sono in gruppo, la competizione fa sì ch’essi mangino una maggior quantità di frutti nel periodo di tempo più breve possibile. Gli elefanti si ubriacano e ciò appare essere una conseguenza tutt’altro che accidentale. Mentre il branco è solito percorrere nella foresta non più di una decina di chilometri al giorno, quando è il periodo della maturazione dei frutti di quelle palme (in particolare le specie di Borassus), i maschi adulti possono staccarsi dal branco per percorrere in un giorno la distanza di oltre 30 km che li separa dal luogo di crescita di quegli alberi, la cui localizzazione è a loro ben nota (Siegel, 1989).

 

Gli elefanti ubriachi diventano iper-eccitati, sobbalzano di fronte a suoni insoliti o a movimenti repentini di altri animali o dell’uomo. Si impauriscono facilmente e ciò li rende aggressivi, come reazione di difesa. Un branco di elefanti ubriachi è considerato un serio pericolo per gli uomini.

Anche gli elefanti indiani del Bengala e dell’Indonesia sono attratti dai frutti fermentati che cadono al suolo, in particolare il grosso frutto del durian (Durio zibethinus L., famiglia delle Malvaceae). In realtà, diverse specie di animali cercano il frutto fermentato del durian: scimmie, orangutan, volpi volanti (specie di pipistrelli), elefanti. Perfino le tigri di Sumatra, per il resto carnivore, apprezzano moltissimo il frutto del durian, ma non è chiaro se mangiandolo si inebrino e se lo cerchino per questo scopo. È comunque nota ai nativi l’assoluta determinazione di questi felini nell’impossessarsi di questi frutti. Si racconta di casi in cui bambini che raccoglievano e trasportavano al villaggio cesti di questi frutti, sono stati aggrediti da una tigre e che questa, invece di ucciderli, li ha privati del loro raccolto (Siegel, 1989, pp. 117-124).

Gli elefanti che si ingozzano di frutti di durian ondeggiano e cadono al suolo in uno stato letargico. Le scimmie perdono la coordinazione motoria, fanno fatica ad arrampicarsi sugli alberi e agitano la testa. Le volpi volanti, che sono i più grossi pipistrelli del mondo, si cibano dei frutti fermentati di durian durante la notte. L’ebbrezza alcolica che ne consegue distorce il complesso sistema radar di cui sono dotati questi animali e per mezzo del quale si orientano nel volo notturno, sino a farli cadere al suolo.

Gli elefanti non cercano l’ebbrezza alcolica solamente dai frutti fermentati, ma ovunque percepiscano l’odore dell’alcol si dirigono velocemente alla fonte che emana questo tipo di odore. Nel 1974, nel Bengala occidentale un branco di 150 elefanti irruppe in un laboratorio clandestino dove veniva prodotto alcol e bevvero a più non posso grandi quantità di malto distillato. Come conseguenza dell’ubriacatura, si misero a scorrazzare per il territorio circostante, correndo di qua e di la, calpestando e uccidendo cinque persone. Un’altra dozzina rimase ferita, sette case in mattone e una ventina di capanne furono distrutte (Siegel & Brodie, 1984).

La passione per l’alcol degli elefanti indiani è nota da tempo. Eliano, che scriveva nel III secolo d.C., riportò l’uso bellico degli elefanti alcolizzati: “Un elefante che fa parte di un branco e che è stato addomesticato, beve acqua; invece un elefante impiegato in azioni guerresche, beve vino; non vino d’uva, però, ma quello che gli Indiani ricavano dal riso o dalla canna” (Eliano, La natura degli animali, XIII, 8; 1998, vol. 2, p. 755). Lo scrittore persiano Nezāmī, che scriveva nel XII secolo, fece dire al re Bahrām Gūr: “Il mio riso e la mia ebbrezza, se riportati all’essenza, sono risa di leone, ebbrezza d’elefante. Il leone, quando ride, versa sangue, e chi non fuggirebbe dall’elefante inebriato?” (Nezāmī, 2002, p. 138).

Dumbo, l’immaginario elefantino voltante protagonista dell’omonimo cartone animato di Walt Disney, prodotto nel 1941, beve alcol e in conseguenza di ciò vede fra le nuvole elefanti rosa che danzano; anche questa tematica moderna, inserita in un racconto per l’infanzia, origina dalla conoscenza che questi pachidermi in natura si ubriacano.

Per quanto riguarda il marula, chiamato popolarmente “elephant tree” (“albero dell’elefante”), botanicamente Sclerocarya birrea subsp. caffra (Sond.) Kokwaro, fam. Anacardaceae, recentemente è stato messo in dubbio che gli elefanti si inebrino nel corso delle loro scorpacciate dei suoi frutti. Non sarebbe vero che i frutti di marula possano raggiungere la concentrazione del 7% di etanolo, così come sarebbe dubbio il fatto che la fermentazione del frutto, con conseguente e ulteriore produzione di alcol, possa avvenire in quantità significative dentro allo stomaco del pachiderma. Il fatto che gli elefanti si ubriachino con i frutti di marula non sarebbe quindi che un mito, indotto dalla tendenza umana a interpretare in maniera antropocentrica certi comportamenti animali (Morris et al., 2006). Ma lo sviluppo di questo studio critico è carente dal punto di vista metodologico, basandosi eccessivamente su un’estrapolazione dai dati umani per quanto riguarda i calcoli sul metabolismo dell’alcol, quando, al contrario, sono questi medesimi ricercatori ad affermare che “la conoscenza fisiologica di come gli elefanti trattino l’alcol è praticamente inesistente”. In questo studio non viene presa in considerazione la possibilità che altre sottili relazioni ecologiche possano influenzare il ciclo fisiologico dell’alcol sia esternamente che internamente al pachiderma. E’ pur vero che gli autori prendono in considerazione l’ipotesi che l’effetto inebriante del frutto di marula possa esser causato da composti differenti dall’alcol etilico, chiamando in causa delle larve di coleotteri che risiederebbero nella corteccia del marula; larve che sono impiegate dai Boscimani San come veleno per le loro frecce. Che queste larve risiedano nella corteccia e non nel frutto dell’albero dovrebbe già di per sé escluderle come possibile fonte di intossicazione. In realtà gli autori non hanno prestato attenzione al ciclo biologico di queste larve del genere Diamphiba, che dopo essersi cibati delle foglie di alcuni alberi, fra cui anche quello di Sclerocarya birrea, non fanno il bozzolo nella corteccia dell’albero, ma nel suolo sabbioso sottostante, dove i San li cercano scavando, per ricavarne il veleno da freccia (Mebs et al., 1982). Quindi queste larve non possono avere nulla a che fare con l’ebbrezza degli elefanti. I medesimi autori hanno considerato anche la possibilità di un coinvolgimento della vitamina niacina come possibile fonte d’ebbrezza, che parrebbe essere presente in significative quantità nel frutto del marula, affermando che a grandi dosi può causare “overt effects” (Morris et al., 2006, p. 367), cioè effetti “palesi”, senza specificare di quale natura sarebbero questi effetti, e senza nemmeno referenziare quanto stanno dicendo. Ciò che apparirebbe  palese è l’inconsistenza di queste argomentazioni. Tacciare inoltre come un “mito” l’ebbrezza degli elefanti conseguente alle loro scorpacciate di frutti di marula – così fortemente avvalorato da secolari dati aneddotici – risulta altamente speculativo. Gli accertati incidenti, alcuni gravi, che hanno coinvolto elefanti ubriachi sono sufficienti per considerare tutt’altro che mitologico questo bizzarro comportamento animale.

Gli elefanti non sono attratti solamente dall’alcol. E’ stato da tempo osservato che gli elefanti indiani, prima di partire per un lungo viaggio, si cibano di una leguminosa (Entada schefferi Ridl.) che potrebbe avere effetti stimolanti su questo pachiderma (Engel, 2003, p. 171; E. schefferi Ridl. è oggigiorno considerato sinonimo di E. rheedii Spreng).

 

Si vedano anche:

 

ri_bib

DUNBAR BRANDER A.A., 1927, Wild animals in Central India, E. Arnold & Co., London.

ENGEL CINDY, 2003, Wild Health. How Animals Keep Themselves Well and What We Can Learn from Them, Houghton Mifflin, New York.

MEBS D. et al., 1982, Preliminary studies on the chemical properties of the toxic principle from Diamphidia nigroornata larvae, a source of Bushman arrow poison, Journal of Ethnopharmacology, vol. 6, pp. 1-11.

MORRIS ATEVE, DAVID HUMPHREYS & DAN REYNOLDS, 2006, Myth, Marula, and Elephant: An Assessment of Voluntary Ethanol Intoxication of the African Elephant (Loxodonta africana) Following Feeding on the Fruit of the Marula Tree (Sclerocarya birrea), Physiological and Biochemical Zoology, vol. 79, pp. 363-369.

NEZĀMĪ, 2002 (1197), Le sette principesse, Rizzoli, Milano, traduz. A. Bausani.

SAAR MARET, 1991, Ethnomycological data from Siberia and North-East Asia on the effect of Amanita muscaria, Journal of Ethnopharmacology, vol. 31, pp. 157-173.

SIEGEL RONALD, 1989, Intoxication. Life in Pursuit of Artificial Paradise, Dutton, New York.

SIEGEL K. RONALD & MARK BRODIE, 1984, Alcohol self-administration by elephants, Bulletin of the Psychonomic Society, vol. 22, pp. 49-52.

VERRIER ELWIN, 1949, Myths of Middle India, Oxford University Press, Madras.

TURI JOAHN, 1991[1910], Vita del Lappone, Adelphi, Milano.

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