Archeologia della coca

Archaeology of coca

 

I reperti archeologici attestanti l’impiego delle foglie di coca fra le antiche popolazioni sudamericane sono numerosi e di varia natura. I più antichi sinora noti sono datati attorno al 6000 a.C.
Sono state ritrovate con una certa frequenza foglie di coca fra le offerte votive delle inumazioni, all’interno di borse di stoffa (chuspas), o come bolo posto nella bocca del defunto; come ulteriore evidenza diretta, disponiamo di una folta casistica di moderne analisi chimiche del capello – in un caso delle unghie – delle mummie peruviane e cilene, in cui sono stati ritrovati cocaina e i sui metaboliti, in particolare la benzoilecgonina.
Un’altro indicatore, in questo caso indiretto, è costituito dalle deformazioni dentarie specifiche della “masticazione” prolungata delle foglie di coca, oltre al riscontro in alcuni casi della presenza di frammenti di foglie di coca fra i grossi calcoli dentari che si formano in conseguenza dell’accumulo dell’agente basico – calce o cenere vegetale – che viene combinato nel bolo di foglie di coca, per facilitarne l’assorbimento buccale.
Altri indicatori riguardano i parafernali associati all’uso della coca – quali i contenitori per la calce – e certi particolari riprodotti nell’arte plastica, come la raffigurazione di un rigonfiamento di una guancia dei visi di alcune statuine, che intendeva presumibilmente testimoniare la presenza del bolo di coca nell’area palatale della bocca.1

La coca appartiene al genere botanico Erythroxylum, di cui esistono oltre 200 specie diffuse nelle aree tropicali del mondo, dalle Americhe all’Australia. Quasi tutte le specie producono diversi alcaloidi tropanici, ma la cocaina viene prodotta in quantità significative solamente in alcune specie. La “coca” impiegata in Sud America è costituita da due specie, ciascuna differenziata in due varietà, e tutte queste quattro varietà sono coltivate sin dai tempi precolombiani (Plowman, 1986):
Erythroxylum coca var. coca, chiamata huánuco o “coca boliviana”
Erythroxylum coca var. ipadu, che è la varietà amazzonica
Erythroxylum novogranatense var. novogranatense, chiamata “coca colombiana”
Erythroxylum novogranatense var. truxillense, chiamata comunemente “coca di Truxillo”.

Distribuzione delle quattro varietà di coca (da Plowman, 1986, p. 10)

Distribuzione delle quattro varietà di coca (da Plowman, 1986, p. 10)

Sino a pochi decenni fa, gli archeologi classificavano le foglie di coca che trovavano fra i reperti come la specie indifferenziata Erythroxyluym coca, e solo in questi ultimi anni si è cercato di differenziare e riconoscere a quale delle quattro varietà di coca appartengano, con lo scopo di distinguere la coca del luogo da quella conseguita attraverso i flussi commerciali. Si ritiene che E. coca var. coca sia la specie selvatica da cui originarono le altre varietà mediante coltivazione e selezione umana (Plowman, 1986, p. 13).

Sebbene sia spesso riportata la “masticazione” della coca, in realtà le sue foglie non vengono masticate, bensì sono tenute in bocca integre all’interno di una delle due guance. All’interno del bolo di foglie viene aggiunta la calce mediante un bastoncino di metallo, osso o legno, e il bolo viene conservato nella bocca per un periodo che si aggira dai 30 ai 90 minuti, dopodiché lo si espelle. In Amazzonia, le foglie vengono invece polverizzate e mescolate con la calce o con la cenere, per formare dei boli che sono mano a mano disciolti in bocca e ingeriti.

L’uso sociale della coca durante i tempi incaici è stato oggetto di discussioni e di critiche non ancora risolte. In base a quanto riportato dai cronisti spagnoli dei XVI e XVII secoli, l’uso delle foglie parrebbe essere stato ristretto alla casta elitaria inca, o comunque rigidamente controllato dallo stato, in quanto la coca fu elevata dagli Inca a stato divino. Questa restrizione sarebbe iniziata con Inca Roca attorno al 1350 d.C. Con l’espansione dell’impero incaico, la coca si sarebbe diffusa nuovamente fra tutta la popolazione (Brown, 2012, p. 101; ma questo autore riferisce date erronee per i periodi incaici). E’ stato tuttavia posto in dubbio che gli Inca esercitassero un monopolio assoluto sulla coltivazione della coca, poiché si sono evidenziati documenti storici che riportavano dell’esistenza di cocales (campi adibiti alla coltivazione della coca) gestiti privatamente dai contadini (Peña, 1972, pp. 285-6). Anche alcuni dati ottenuti mediante le analisi fisiologiche sembrerebbero confermare questa supposizione (si veda oltre).

 

Reperti materiali

I ritrovamenti di resti della pianta della coca nei siti archeologici sudamericani sono numerosissimi, e in questa sede ne viene riportata solo una parte. Il più antico reperto sinora venuto alla luce in un contesto antropico è stato registrato nella valle di Nanchoc, nel Peru settentrionale. Sette foglie, probabilmente di E. novogranatense var. truxillensis, sono state ritrovate nello scavo dei pavimenti di una casa e sono state datate mediante il C14 al 5950 a.C., cioè verso la fine della fase Las Pircas. Cinque di queste foglie erano agglutinate, un particolare che testimonierebbe il fatto che fossero state “masticate”. La loro analisi chimica ha effettivamente determinato la presenza di elevate quantità di calcio e potassio; un dato che confermerebbe che queste foglie erano passate attraverso il processo di estrazione del principio attivo mediante un agente alcalino. Nel medesimo contesto di scavo sono state ritrovate 11 palline sferoidali di calcite compressa prodotta da un processo di calcificazione, e che evidentemente sono associabili al consumo delle foglie di coca. In altre capanne della fase Las Pircas sono stati ritrovati altri tre agglomerati di calcite chee sono stati datati al 7000-8300 a.C., ma il ritrovamento non era accompagnato da foglie di coca (Dillehay et al., 2010).
Un’altra data molto antica, fra il 5300 e il 3900 a.C., si riferirebbe a una possibile coltivazione della pianta di coca presso gli antichi abitanti della grotta di Ayacucho.2 Ma questa tesi è stata criticata da alcuni autori, e i relativi reperti vegetali sono andati perduti (Brown, 2012, p. 124).

Si avrebbero indicazioni dell’impiego della coca attraverso il ritrovamento in due sepolture – un uomo e una donna – nel sito di Culebras, nell’area costiera fra le valli di Casma e Huarmey nel Peru settentrionale, datato attorno al 2000 a.C. Fra il corredo di queste sepolture, sono stati rinvenuti una zucca e tre conchiglie del genere Mytilus che contenevano calce polverizzata (Engel, 1957, pp. 67-8). Nella Valle Chillón (Huancayo Alto, Peru) un insieme di strutture di magazzino, datate fra l’800 e il 200 a.C., conservavano ancora mais, coca e conchiglie marine (Dillehay, 1979).

Testa di mummia naturale di un uomo di 36 anni della cultura Chiribaya. A destra si può osservare il bolo di coca ancora presente nella cavità orale palatale (da Cartmell et al., 1991, fig. 1, p. 261)

Testa di mummia naturale di un uomo di 36 anni della cultura Chiribaya. A destra si può osservare il bolo di coca ancora presente nella cavità orale palatale (da Cartmell et al., 1991, fig. 1, p. 261)

In una pipa del sito La Puntilla, provincia di Catamarca, nel nord-ovest dell’Argentina, datata al Periodo Formativo Inferiore (650 a.C.-500 d.C.) sono stati individuati frammenti microscopici di foglie e semi di Erythroxylum coca, insieme a resti di Ilex paraguariensis e Nicotiana. L’assunzione della coca mediante aspirazione non è riportato nella letteratura etnografica, ed è possibile che questo ritrovamento riguardi una contaminazione da parte dell’individuo che utilizzava la pipa, se questi, oltre che fumare tabacco fosse stato anche un “masticatore” di coca (Capparelli et al., 2006). Tuttavia i risultati di quest’analisi appaiono a mio avviso incerti, non essendo le strutture organiche studiate esclusive delle specie determinate, come del resto affermato dai medesimi autori, i quali, tra l’altro, fanno il grossolano errore di confondere il DMT con la bufotenina (ibid., p. 402).

Foglie di coca contenute in borse di tessuti di lana, chiamate chuspas, sono presenti come offerta funebre in innumerevoli inumazioni ritrovate lungo la costa sud del Peru e del Cile settentrionale, e diventano comuni a partire dal 500 d.C.3 Diversi ritrovamenti appartengono al Periodo Intermedio Tardo (1200-1438 d.C.). I Chiribaya, ad esempio, ponevano a volte nelle loro inumazioni come offerta funebre delle borse ricolme di foglie di coca. In un caso, nel corpo di un uomo anziano furono tolte le viscere e all’interno della cavità così ricavata fu collocata una giara contenente foglie di coca (Guillén, 2004). In numerose occasioni si ritrova un bolo di foglie di coca nella bocca del defunto, che era stato collocato dopo la morte dell’individuo.

Involto funebre antropomorfo che contiene lo scheletro di un bambino. Le borse appese alla cintura sono ricolme di foglie di coca. Santa Rosa, Lima, cultura Ancón Recente I (da Reichlen, 1972, pl. IV)

Involto funebre antropomorfo che contiene lo scheletro di un bambino. Le borse appese alla cintura sono ricolme di foglie di coca. Santa Rosa, Lima, cultura Ancón Recente I (da Reichlen, 1972, pl. IV)

Significativo è un involto funebre dalle fattezze antropomorfe e a “falsa testa”, conservato integro presso il Musée de l’Homme di Parigi e studiato da Reichlen nel 1950. Proveniente dal cimitero di Santa-Rosa, nella provincia di Lima, e appartenente alla fase Ancón Recente I, è alto 58 cm e largo 26 cm. Mediante l’analisi ai raggi X, lo scheletro contenuto in questo involto è risultato essere quello di un bambino di 9-13 anni, ed è disposto curiosamente all’ingiù, cioè rovesciato rispetto al senso dell’involto dalle fattezze antropomorfe. All’altezza dei fianchi dell’involto sono appese diverse borse di lana ricolme di foglie di coca. Anche in un involto funebre del periodo incaico, ritrovato nei dintorni di Lima, nel sito Rinconada Alta, sono stati ritrovate chuspas piene di foglie di coca, un dato che ha fatto supporre che il defunto durante la sua vita avesse guadagnato i favori dell’Inca (Frame et al., 2004).

Foglie di coca sono frequentemente presenti fra le offerte votive dei sacrifici incaici di bambini ad alta quota noti come capacocha (si veda Il rito incaico della capacocha).
Questi ritrovamenti confermerebbero quanto riportato dal cronista spagnolo Alonso Ramos Gavilán, il quale, agli inizi del XVII secolo e nel descrivere i costumi inca, riportava che “quando giungeva l’ora del sacrificio, mettevano in bocca una manciata di foglie di coca con le quali soffocavano il ragazzo” (rip. in Brown, 2012, p. 161). E in effetti, nella trachea e nei bronchi di una mummia della cultura Nasca è stata ritrovata polvere di foglie di coca; l’autopsia ha fatto ipotizzare una morte per asfissia, e ciò potrebbe confermare quanto riportato anche da Poma de Ayala, del costume di uccidere una persona soffiando coca polverizzata nei suoi polmoni (Lombardi, 1992). Questo autore antico riferiva un tale costume nel caso del sacrificio di coloro che dovevano accompagnare l’Inca nella sua tomba, e riportava anche di un caso di suicidio di un anziano mediante questa tecnica.4

Piccolo braciere (“illa”) in cui sono state ritrovate traccie di foglie di coca. Periodo incaico, Argentina nord-occidentale (da Brown, 2012, fig. 68f, p. 164).

Piccolo braciere (“illa”) in cui sono state ritrovate traccie di foglie di coca. Periodo incaico, Argentina nord-occidentale (da Brown, 2012, fig. 68f, p. 164).

In una inumazione della costa centrale del Peru, appartenente all’Orizzonte Tardo (1400-1500 d.C.), sono state trovate come offerta funebre foglie di Erythroxylum novogranatense (Castro de la Mata & Ravines, 1981). Sempre del periodo incaico, è stata posta l’attenzione su un particolare tipo di conopas, piccoli ricettacoli che erano impiegati per bruciare le foglie di coca nel corso di riti di fertilità agricoli. Fra quelli in forma di camelidi – chiamati dagli archeologi illas – e provenienti dall’Argentina nord-occidentale, è stato analizzato con il microscopio a scansione il materiale carbonizzato residuale, e sono state identificate entrambe le varietà coltivate e selvatiche di coca (Cortella et al., 2001).

Accanto ai reperti vegetali, macro- e microscopici, un altro tipo di documentazione che evidenzia l’impiego della coca riguarda i ritrovamenti di calce, che veniva immancabilmente impiegata insieme alle foglie di coca, e la sua presenza testimonia l’impiego della coca anche quando i suoi resti vengono trovati in assenza di resti della pianta. Come esempio, fra le centinaia di ritrovamenti, cito i residui di calce, i contenitori per la calce e i miscelatori per la calce ritrovati nelle tombe del sito ecuadoriano di Salango, appartenente alla cultura Bahía II e datati al 100 a.C. – 300 d.C. In questo caso i contenitori per triturare la calce erano stati elaborati da conchiglie marine del genere Conus, e l’oggetto che fungeva da pestello e mescolatore era stato ricavato o da un’altra conchiglia o da una pietra alle quali era stata data la forma di una figura antropomorfa (Lunniss, 2017).

Palla di calce, mortaio e pestello per la calce da un'inumazione del cimitero di Salango, Ecuador, 100 a.C. - 300 d.C. (da Lunniss, 2017, figg. 4,5, pp. 161, 162)

Palla di calce, mortaio e pestello per la calce da un’inumazione del cimitero di Salango, Ecuador, 100 a.C. – 300 d.C. (da Lunniss, 2017, figg. 4,5, pp. 161, 162)

 

Reperti dentali

L’assidua assunzione buccale delle foglie di coca, con l’aggiunta della calce o di altra fonte basica, porta a una modificazione del sistema dentale, e sono state individuate specifiche patologie associate all’impiego di questa droga. Si tratta della presenza di carie della radice cervicale con esposizione radicale delle superfici buccali della dentizione posteriore (in particolare i molari 2i e 3i); indicative sono anche la periodontite e la perdita antemortem del dente (Turner, 1993; Langsjoen, 1996). La costante aggiunta nella cavità orale di una fonte basica irrita la gengiva, un fatto che può portare a periodontite, con esposizione delle radici dentarie e sviluppo di carie in queste radici, con la possibile perdita del dente. Indriati e Buikstra (2001) hanno elaborato una scala di indicatori buccali dell’impiego della coca: forte, lieve e debole. L’evidenza forte è indicata dalla presenza di severa esposizione della radice del dente con diverse lesioni da carie. L’evidenza lieve include lesioni simili sui denti massillari, carie radicali su altre superfici dei denti mandibolari o massillari, e carie radicali sui premolari, nel caso in cui gli adiacenti molari siano andati perduti. L’evidenza debole consiste nella presenza di lesioni cariacee della corona buccale sui denti mandibolari e massillari. Analisi biologiche sviluppate su individui delle antiche popolazioni litorali di Chiribaya Alta, Algodonal e Yaralhanno hanno mostrato che l’85,7% di coloro che evidenziavano le tipiche patologie dentali “cocainiche” era risultati positivi alla cocaina con l’analisi del capello.

Due molari con evidenti calcoli causati probabilmente dal consumo di coca con la fonte basica (calce, ceneri). Sito di San Marco, Valle di Colonche, Ecuador, 1200-1532 d.C. (da Ubekaler & Stother, 2006, fig. 4, p. 82)

Due molari con evidenti calcoli causati probabilmente dal consumo di coca con la fonte basica (calce, ceneri). Sito di San Marco, Valle di Colonche, Ecuador, 1200-1532 d.C. (da Ubekaler & Stother, 2006, fig. 4, p. 82)

Cohen (1978, p. 125) effettuò un primo impiego delle patologie dentarie associate alla “masticazione” della coca, determinando il suo impiego in resti scheletrici del sito di Ancón, nella valle di Chillón, situato nella costa centrale del Peru e datato fra il 1800 e il 1400 a.C. Nella bocca di alcuni di questi individui fu ritrovato un bolo di foglie di coca.
Anche i grossi calcoli dentari presenti in diversi scheletri sono stati associati all’impiego della calce con le foglie di coca, sebbene tale associazione sia stata messa in dubbio (Ubelaker & Stother, 2006).

Sempre mediante l’analisi dentaria, Langsjoen (1996) ha evidenziato un campione di individui della cultura Chinchorro (7000-1500 a.C., Cile settentrionale) privo di indizi di assunzione di coca, mentre si sono presentati con una certa frequenza fra individui della cultura Maitas Chiribaya (1250-400 d.C.), sempre del Cile settentrionale. Dall’analisi di 173 resti umani del sito di Cerro Oreja, nella valle Moche, datati al Periodo Intermedio Alto (400 a.C.-600 d.C.), Gagnon et al. (2013) hanno evidenziato patologie dentarie tipiche dell’uso di coca nel 56-96% dei casi, a seconda del periodo storico (culture Salinar e Gallinazo 1, 2 e 3). In alcuni casi sono stati ritrovati fitoliti all’interno di grosse carie dentali, corrispondenti alle strutture fogliari della coca.

Probabile frammento di epidermide di foglia di coca ritrovato in un calcolo dentario di uno scheletro del sito di Cerro Oreja, valle Moche, Peru (Gagnon et al., 2013, fig. 6, p. 204)

Probabile frammento di epidermide di foglia di coca ritrovato in un calcolo dentario di uno scheletro del sito di Cerro Oreja, valle Moche, Peru (Gagnon et al., 2013, fig. 6, p. 204)

In Ecuador, nel cimitero di Chorrera (Penisola di Santa Elena), datato attorno al IX secolo a.C., le analisi dentali dei resti umani mediante fluorescenza ai raggi X ha evidenziato un’elevata concentrazione di magnesio, che verosimilmente potrebbe essere stato indotto dalla masticazione di foglie di coca, una pianta che sarebbe pervenuta nella regione mediante il commercio (Klepinger et al., 1977). Uno studio svolto su oltre 4700 denti appartenenti a popolazioni che vissero nell’area di Puruchuco-Huaquerones, nei dintorni di Lima durante il periodo incaico, ha evidenziato il 16% di possibili masticatori di foglie di coca, con una preponderanza delle donne. Questo studio suggerirebbe l’assenza di un accesso elitario della coca in questa regione dell’impero inca (Murphy & Boza, 2012).

Lesione ossea e dentaria visibile in questa mandibola archeologica peruviana (da Indriati & Buikstra, 2001)

Lesione ossea e dentaria visibile in questa mandibola archeologica peruviana (da Indriati & Buikstra, 2001)

 

Le analisi dei tessuti organici

Sebbene la cocaina sia velocemente degradata nel corpo umano, alcuni suoi metaboliti, in particolare la benzoilecgonina (BZE), mostrano una considerevole stabilità. Questi metaboliti vengono assorbiti nei capelli, principalmente attraverso i loro follicoli, per trasmissione sanguigna, e si legano con la melanina e la keratina. Per questo motivo è possibile determinarne la loro presenza. Cocaina e suoi metaboliti si fissano anche nei tessuti delle unghie degli arti umani, e Cartmell et al. (1994) hanno analizzato, oltre ai capelli, le unghie di diverse mummie cilene, studiando la correlazione dei risultati positivi ed evidenziando tuttavia una minore sensibilità analitica nel caso dell’unghia. Il capello può essere studiato, nel suo contenuto di droghe, mediante un “approccio segmentale”, cioè tenendo in considerazione la naturale crescita del capello – mediamente 1 cm al mese –, che permette di studiare la progressione dell’esposizione dell’individuo alla droga, eseguendo analisi differenziate su singole porzioni del capello.5

Famoso è il caso dell’équipe della tossicologa tedesca Balabanova, che individuò nei capelli di mummie egizie tracce di cocaina, nicotina e cannabinoidi; un dato che fece sorgere non poche polemiche fra gli Egittologi, soprattutto per la stravagante ipotesi proposta dalla medesima studiosa di un contatto transoceanico fra l’Egitto e le Americhe durante i periodi faraonici. L’équipe della Balabanova sembra essersi specializzata nei ritrovamenti “impossibili”: nei capelli, ossa e denti di alcune mummie peruviane conservate a Monaco (Germania) sarebbe stato individuato il THC (tetraidrocannabinolo), una molecola presente nella canapa, la cui diffusione americana è da tutti considerata post-colombiana. Queste mummie provengono da siti archeologici della valli di Chicama e di Jequetepeque, e diverse sono risultate positive anche alla cocaina e alla nicotina (Parsche et al., 1994). Per un’analisi critica approfondita si veda Le “mummie drogate” della Balabanova.

Cartmell et al. (1991a; 1994b) eseguirono uno studio pilota inerente l’applicazione dell’analisi del capello su otto resti umani appartenenti alla cultura Chinchorro (2000 a.C.) e alla cultura “inca” (1400 d.C.), originari del Peru meridionale e del Cile settentrionale. La ricerca della benzoilecgonica diede risultati positivi solamente sugli individui “inca”, evidenziando una probabile assenza dell’impiego della coca presso la cultura Chinchorro, come in effetti è stato confermato anche dagli studi dentali.
In un secondo studio, Cartmell et al. (1991b, 1994b) studiarono i capelli di 163 individui provenienti dalle regioni cilene costiere e di bassa quota e originari di differenti culture. Nuovamente, i risultati per la presenza di metaboliti della cocaina furono negativi per la cultura Chinchorro (7000-2000 a.C.) e quella Quiani (2000-1500 a.C.), mentre furono positivi nel 62% degli individui appartenenti alla cultura Cabuza (400-1000 d.C.), nel 56% di quelli appartenenti alla cultura Maitas Chiribaya (1000-1250 d.C.), nel 70% di quelli Inca (1400-1500 d.C.), e in un individuo della cultura Alto Ramirez (1000 a.C. – 300 d.C.).

Risultati delle analisi dei capelli delle mummie cilene e peruviane studiate da Cartmell et al. (1994b, tab. 1, p. 90)

Risultati delle analisi dei capelli delle mummie cilene e peruviane studiate da Cartmell et al. (1994b, tab. 1, p. 90)

La benzoilecgonina è stata ritrovata nei capelli di diverse mummie del Cile settentrionale, con datazioni fra il 2000 a.C. e il 1500 d.C. Ad Atacama, questo metabolita è stato ritrovato nei capelli di resti umani del sito Pisagua-7 dell’Alto Ramírez e datati fra il 950 a.C. e il 300 d.C. (Rivera et al., 2005). Presso la cultura Maitas Chiribaya (1100-1250 d.C.) della Valle di Azapa, vicino ad Arica, dove è stato riportato il 51% di consumatori di coca del campione testato, la benzoilecgonina è stata ritrovata anche fra i lattanti di 0-2 anni, un dato che suggerisce il trasferimento materno della sostanza, sia in maniera trans-placentare che attraverso il latte materno (Cartmell et al., 1994). La medesima benzoilecgonina, insieme a cocaina e nicotina, sono stati individuati nei capelli di un bambino di poco più di un anno d’età mummificatosi naturalmente ritrovato in località Doncellas, nel Dipartimento di Cochinoca, nella Puna de Jujuy, Argentina. Non è stato possibile determinare a quale cultura e periodo apparteneva il reperto (Bosio et al., 2008-09).

In un esteso studio svolto su un campione di 60 individui provenienti da tre siti archeologici (Valle di Azapa e Iquique in Cile e Puruchuco-Huaquerones in Peru) la benzoilecgonina è stata determinata nei capelli del 50-75% degli individui (Brown, 2012). Anche in altre mummie peruviane, datate al 1000 d.C., l’analisi del capello ha evidenziato la presenza di benzoilecgonina ed ecgonina. Non sono apparse differenze di genere in relazione alla presenza di questi composti (Springfield et al., 1993).

Un interessante risultato riguarda l’analisi del capello eseguito sulle mummie dei bambini di Llulliaillaco, per il quale si rimanda a Il sacrificio incaico della capacocha.

 

La coca nell’iconografia

Immagini di coqueros, individui che evidenziano su una guancia il rigonfiamento indotto dall’introduzione nel palato del bolo di coca, sono presenti presso diverse produzioni artistiche preincaiche, in particolare Nasca, Moche, Quimbaya e Valdivia. E’ pur vero che si deve prestare attenzione al fatto che anche il tabacco veniva tenuto nella bocca, con l’aggiunta di calce o altro composto alcalino, per cui non si può avere la certezza assoluta che i rigonfiamenti della guancia nei visi di queste figure indichino l’uso di foglie di coca (Cartmell et al., 1994, p. 126; Castro de la Mata, 2003, pp. 16-7); ma i casi in cui il rigonfiamento sulla guancia stia a indicare l’impiego di tabacco e non di coca sono tuttavia, a mio parere, esigui, essendo stato limitato l’uso del tabacco in forma buccale, ed essendo comune un assorbimento vestibolare, piuttosto che nell’interno della guancia di questa droga (cioè le foglie di tabacco venivano e vengono tutt’ora introdotte fra le labbra e le gengive).

I reperti iconografici più antichi relativi ai coqueros appaiono fra i manufatti della Cultura Valdivia, in Ecuador, presso la quale sono state ritrovate alcune tazze per la calce e una figurina con evidenziato sul viso il bolo di coca, con una datazione attorno al 2000 a.C. (Lathrap et al., 1975). Verificata la mancanza della pianta della coca in questa regione, ne è probabilmente esistito un commercio a lunga distanza (Lathrap, 1973). Anche numerose figurine della cultura Capuli – diffusa in Ecuador e Colombia e datata fra l’800 e il 1500 d.C. – contengono indizi di impiego di coca (Drolet, 1974).

(sx) Testina in terracotta che evidenzia sulla guancia la protuberanza causata dal bolo di coca. Provenienza Ecuador (Saville, 1910, Tav. CXII.5); (dx) tipica ceramica della cultura Capuli

(sx) Testina in terracotta che evidenzia sulla guancia la protuberanza causata dal bolo di coca. Provenienza Ecuador (Saville, 1910, Tav. CXII.5); (dx) tipica ceramica della cultura Capuli

Sarebbero stati individuati elementi associati all’uso della coca nell’arte litica del centro cerimoniale di San Agustín, Dipartimento di Huila, in Colombia. La fase monumentale di questa cultura è datata fra il 600 a.C. e il 1500 d.C. Alcune figure antropomorfe tengono fra le mani un bastoncino e una conchiglia, nei quali si ravvisano due classici parafernali per l’uso della coca e della calce. In alcuni casi, da un polso pende una piccola borsa, identificata come contenitore di foglie di coca (Gamboa, 1982, p. 166). Torres (1981) ha tuttavia proposto una differente interpretazione di questi oggetti, e cioè come strumenti per inalare polveri da fiuto (si veda Le droghe di San Agustín).

Sempre in Colombia, l’impiego della coca è testimoniata fra gli oggetti in oro della cultura Quimbaya, fra i quali si riconoscono aste e contenitori per la calce (poporo).

(sx) Statuina di cacicco in oro che tiene fra le mani due recipienti (poporo) da cui fuoriescono gli spilloni per estrarre la calce in essi contenuta, che veniva aggiunta al bolo di foglie di coca; (dx) recipiente in oro contenente la calce per la coca, altezza 24 cm circa (da Faldini, 1981, p. 46 e 52)

(sx) Statuina di cacicco in oro che tiene fra le mani due recipienti (poporo) da cui fuoriescono gli spilloni per estrarre la calce in essi contenuta, che veniva aggiunta al bolo di foglie di coca; (d) recipiente in oro contenente la calce per la coca, altezza 24 cm circa (da Faldini, 1981, p. 46 e 52)

Uomo seduto che tiene fra le mani un contenitore per la calce e una spatola, tipici parafernali per l'impiego della coca. Cultura Moche (rip. in Brown, 2012, fig. 5b, p. 148)

Uomo seduto che tiene fra le mani un contenitore per la calce e una spatola, tipici parafernali per l’impiego della coca. Cultura Moche (rip. in Brown, 2012, fig. 5b, p. 148)

Indizi dell’impiego della coca si ritrovano nell’iconografia Moche, cultura preincaica data fra il I e il VII secolo d.C. Significativa è una statuina ritrovata nella tomba B di Dos Cabezas (valle di Jequetepeque, Peru), datata al Primo Periodo Moche, e che raffigura un uomo seduto che tiene fra le mani un contenitore per la calce e una spatola, tipici parafernali per l’impiego della coca (rip. in Brown, 2012, p. 145).

Nelle ceramiche moche si incontrano con una certa frequenza scene pittoriche di mangiatori di coca, nell’atto di infilare con l’asta la calce nella bocca, mentre tengono in mano il vaso della calce, e con la chuspa di foglie di coca che pende da un braccio. Queste raffigurazioni sono associate a un caratteristico insieme di punti neri, che a volte occupa tutto lo spazio “aereo” della scena, e che sembrerebbe essere strettamente associato all’effetto della coca. Si tratta di un grafema di tipo fosfenico, che esperimenti neurofisiologici hanno mostrato essere uno dei più comuni schemi allucinatori visivi durante l’effetto della cocaina (Siegel, 1978).

Rilievi di pitture vascolari moche con raffigurazioni di mangiatori di coca (da Hocquenghem, 1987, figg. 68, 69, 71, 72)

Rilievi di pitture vascolari moche con raffigurazioni di mangiatori di coca (da Hocquenghem, 1987, figg. 68, 69, 71, 72)

 

Si vedano anche:

 

Note

1-  Per una bibliografia critica sull’archeologia della coca, si veda Castro de la Mata (2003, pp. 15-30).

2 – Pearsall, 1002, p. 181 e Owen, 2006, rip. in Brown, 2012, p. 122.

3 – Ad esempio, foglie di coca sono state ritrovate dentro a una chuspa nella necropoli di Nazca (Griffiths, 1930); nel sito di Asia, nella valle Omas, lungo la costa centrale del Peru, datato mediante radiocarbonio al 1314 ± 100 a.C. (Engel, 1963); nel sito peruviano della Valle Mantaro, datato al 1300-1533 d.C. (Hastorf, 1987); in inumazioni del Cile settentrionale datate al 900-1400 d.C. (Cassman et al., 2003); nei cimiteri di Azapa, di epoca Tiwanaku, della costa di Arica e Lluta, corrispondenti ai periodi dello Sviluppo Regionale e Inca (Molina et al., 1989; Belmonte et al., 2001).

4 – Poma de Ayala, La Nueva Corónica y Buen Gobierno, 288 e 1111, cfr. Castro de la Mata, 1977, pp. 62-3.

5 – Per una rassegna si veda Brown, 2012, pp. 99-121.

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