L’Amanita muscaria in Europa

The fly-agaric in Europe

 

A differenza che in Siberia (si veda L’Amanita muscaria in Siberia), in Europa non si conoscono casi attuali di impiego tradizionale del fungo allucinogeno Amanita muscaria (agarico muscario; si veda Amanite psicoattive). Ho evidenziato il termine “tradizionale” per distinguerlo dall’impiego che da alcuni decenni si è diffuso in conseguenza dello sviluppo della cultura psichedelica. Le origini di quest’ultima “tradizione” possono essere datate agli anni ‘1970 o al massimo al decennio precedente.

Si conoscono tuttavia alcuni casi di impiego tradizionale che si erano conservati sino a non molto tempo fa, e che forse continuano a sopravvivere in questi ultimi decenni, fusi-confusi con il moderno uso “psichedelico”. Conosciamo qualche caso che è possibile considerare come trait d’union fra il passato tradizionale e il presente psichedelico, come quello del dottor Batista Grassi che presento poco oltre, e ricerche più approfondite nelle diverse nazioni europee potrebbero rivelarne altri.

In questo tipo di studi etnografici si deve prestare attenzione nel distinguere i casi di uso di funghi psicoattivi da parte di individui appartenenti a culture tradizionali (quali boscaioli, pastori, ecc.) che hanno acquisito la conoscenza di questi funghi non in maniera tramandata, quindi veramente tradizionale, ma da individui della moderna cultura psichedelica. E’ il caso di alcuni pastori delle valli alpine italiane che da alcuni decenni hanno appreso a raccogliere e consumare i funghetti psilocibinici, ed eventualmente anche l’agarico muscario, osservando i moderni raccoglitori di questi funghi e interagendo con loro.

Sono note testimonianze d’impiego tradizionale dell’agarico muscario nel nord Italia, in Catalogna (Spagna), in Lituania e in Finlandia. Si tratta essenzialmente di forme residuali d’impiego tradizionale, classificabili dal punto di vista etnografico come “sopravvivenze” di utilizzo, espresse con modalità non più rituali, e tanto meno sciamaniche.

Per quanto riguarda l’Italia, verso la fine del XIX secolo il medico lombardo Batista Grassi riportò un caso di assunzione volontaria di Amanita muscaria con lo scopo di ottenere un’ebbrezza. Si trattava di un contadino di 40 anni di Misinto, in provincia di Milano. Quest’uomo riferì che i contadini della sua regione “sanno che questo fungo fa cantare e ch’egli ha osservato fenomeni eguali ai propri in un’altra famiglia del comune di Ceriano Laghetto (provincia di Milano)”. Grassi aggiunse che anche nel Comune di Rovellasca, in provincia di Como, “corre voce che i funghi in discorso [agarico muscario] facciano cantare; anzi molti raccontano una vecchia storia di due sposi che cantarono una notte intera” (Grassi, 1880, pp. 963-4). Sono pochi dati che tuttavia evidenziano un impiego di questo fungo per scopi inebrianti nelle aree rurali della Lombardia del XIX secolo.

Fu proprio l’acquisizione di queste notizie fra il volgo lombardo, che diede l’impulso a Grassi a sperimentare l’agarico muscario come “alimento nervoso”, in sostituzione del vino, che in quegli anni era venuto a scarseggiare a causa dell’epidemia di fillossera che aveva decimato i vigneti europei (Samorini, 1996).

In tempi più vicini a noi, agli inizi degli anni ’80 ebbi l’opportunità di raccogliere una testimonianza orale da un anziano contadino di Villagrossa, in Val di Vara (La Spezia), il quale mi riferì che “a mangiarlo [l’agarico muscario] si vedono gli spiriti e li si segue ballando nel bosco”. Verificato che in quella regione a quei tempi non era ancora diffusa la pratica di raccolta dei funghi psicoattivi da parte dei moderni cultori psichedelici, e considerata l’anzianità dell’informatore – un contadino che difficilmente avrebbe potuto leggere testi di cultura psichedelica – la sua affermazione di “vedere gli spiriti e ballare” se si consuma l’agarico muscario è da considerare come una conoscenza tramandata, e in quanto tale tradizionale.

Per quanto riguarda la letteratura folclorica, accenno a un racconto popolare raccolto verso la fine del XIX secolo nella vallata del Tevere in provincia di Rieti (Lazio). Tratta dell’origine di un fungo dal peto/tuono del diavolo (il signor Berlik). Il racconto è stravolto dall’interpretatio cattolica, ma proprio nel finale, che parla delle proprietà di questo fungo diabolico, conserva tracce di un’origine pre-cristiana: “Chi s’imbatte in quel fungo e respira l’aria fetida che emana, acquista il potere sugli uomini e sulle cose e sorpassa d’astuzia il signor Berlik” (Dè Colli, 1895-96, pp. 390; si veda Il fungo del demonio). La struttura del racconto evidenzia una forma originaria come mito d’origine di un fungo, e non un fungo qualunque, ma un fungo che dà conoscenza e potere, quindi un fungo culturalmente ascrivibile alla classe dei funghi psicoattivi.

La nota favola di Cappuccetto Rosso è stata studiata dal punto di vista di possibili significati di natura iniziatica, con tanto di associazioni del cappuccio rosso con l’agarico muscario (Calvetti, 1986). Vale la pena accennare a una versione della favola recentemente raccolta da Alberto Borghini dalla bocca di una donna di 70 anni di Galliate (Novara), poiché è coinvolto un fungo che è impiegato per resuscitare la bambina protagonista della favola; il fungo viene cotto sino a ridurlo in una specie di colla con cui vengono riunite le parti del suo corpo che erano state smembrate (racconto discusso da Toro, 2013 e Vannoni, 2016). Pur non essendo esplicitato il tipo di fungo impiegato, si tratta di un dato interessante dal punto di vista etnomicologico.

Volgendo lo sguardo alla Spagna, nel corso delle sue indagini etnografiche svolte negli anni ‘1980, l’antropologo Josep M. Fericgla registrò in Catalogna casi di consumo dell’agarico muscario fra gruppi di pastori e contadini dei Pirenei. Nel paesino di Ripoll incontrò uomini che affermavano che una volta all’anno erano soliti preparare un pranzo di funghi in cui facevano rientrare anche degli agarici muscari, consapevoli del loro effetto inebriante. E nel paesino di Berga Fericgla si rese conto di come molte persone non considerassero velenoso l’agarico muscario, bensì lo ritenessero inebriante. Inoltre, quando, dopo una cena o un pranzo a base di funghi, qualcuno evidenziava i sintomi di un’ebbrezza, gli altri commensali non erano soliti preoccuparsi più di tanto, sapendo che probabilmente si trattava di un’ingestione accidentale di agarico muscario o di agarico panterino (Fericgla, 1993).

L’archeologa e linguista lituana Marija Gimbutas è divenuta famosa per i suoi studi sulla “vecchia Europa” neolitica e per le interpretazioni matriarcali e ginocentriche delle popolazioni pre-indoeuropee; interpretazioni che oggigiorno non sono più molto seguite dagli studiosi. Comunque sia, la Gimbutas, esperta della cultura tradizionale del suo paese, la Lituania, riportò alcuni dati etnografici attendibili in una lettera che inviò a Gordon Wasson nel 1961. Essa scrisse che in Lituania v’era il costume di aggiungere alla vodka campioni freschi o secchi di agarico muscario – denominato in lituano raudonoji musmirė –, in occasioni quali i banchetti matrimoniali, e ciò con lo scopo di indurre un’allegra ebbrezza. Questa pratica era nota fra i russi ortodossi prima della Prima Guerra Mondiale in Lituania. Riportò anche di una evento avvenuto nel 1905, in cui la vodka con agarico muscario fu somministrato alle guardie carcerarie russe nel corso di una fuga dei prigionieri, evidentemente per inebriarle e renderle inoffensive. Attorno al 1942 il vecchio costume fu ripreso nel distretto di Vilnius, e la gente aggiungeva l’agarico muscario nella vodka fatta in casa (Wasson, 1972, p. 55).

Fra i Khanty e i Mansi della Siberia occidentale è presente il tema dell’assunzione di latte dopo aver fatto l’esperienza con l’agarico muscario, probabilmente per il suo effetto de-tossificante (si veda L’Amanita fra i Khanty). Quest’ultimo dato etnografico è stato utilizzato per spiegare un comportamento dei táltos (sciamani) ungheresi, i quali erano soliti affacciarsi alle porte delle case nei villaggi per chiedere del latte. Hoppál ha aggiunto l’osservazione che gli abitanti del villaggio comprendevano da questa domanda che la persona che gli si presentava era un táltos; un dettaglio da cui si arguisce la peculiarità sciamanica della richiesta di latte (Hoppál, 1984, p. 434). Sotto l’influenza cristiana e nel caso l’abitante della casa fosse un Cristiano, il suo diniego di dare il latte a queste persone sembra rappresentasse una forma di rifiuto delle pratiche pagane (Czigány, 1980: 217, n. 28).

Un impiego tradizionale in cui si è conservato uno scopo prettamente sciamanico riguarda gruppi di Sami della Finlandia. I Sami sono un gruppo etnico finno-ugro che per molto tempo è stato impropriamente indicato col nome di Lapponi. Essi vivono in un’area che comprende le zone settentrionali dei tre paesi scandinavi e la penisola di Kola, che rientra oggigiorno nella Federazione Russa. Descrivendo i costumi dei Sami dell’area finlandese del lago Inari, l’etnografo Toivo Immanuel Itkonen riportò che i loro sciamani erano soliti consumare l’agarico muscario dotato di sette macchie bianche sul cappello, e in quantità di 3 o 7 funghi (Itknonen, 1946, p. 149). In un passo successivo del medesimo testo, Itknonen riportò un interessante dettaglio riguardante l’iniziazione sciamanica: lo sciamano iniziatore dava da ingerire al neofita degli agarici dotati di sette macchie sul cappello (ibid., p. 154).

Questa citazione data da Itkonen continua a essere isolata per la cultura sami, o per lo meno non sono riuscito a individuare ulteriori eventuali dati prodotti dalla letteratura etnografica scandinava, né in quella antica né in quella moderna. A parte una breve citazione in un romanzo storico di Charles Kingsley, datato al 1866, dove viene detto che i Lapponi e i Samoidei utilizzavano l’agarico muscario per le loro arti magiche, e dove sembra che il fungo sia stato som-ministrato agli ignari protagonisti del romanzo, i quali ritennero di essere stati stregati (Kingsley, 1866, p. 111). Ma un romanzo non è un dato etnografico.

Sappiamo che i moderni abitanti dell’area di Tver, nella Karelia settentrionale, che confina a nord con la penisola di Kola, continuano a impiegare l’agarico muscario per catturare le mosche, pestando su un piatto il fungo con acqua e zucchero (in precedenza miele). Essi impiegano anche il fungo per scopi medicinali affini a quelli riscontrati presso le popolazioni siberiane, cioè in applicazione topica nei casi di lividi dolorosi. E’ interessante notare come in Karelia sia la sola pellicola rossa del cappello a essere utilizzata, facendola macerare in alcol. Questa tintura viene anche assunta oralmente in piccole dosi per trattare i mal di stomaco e i mal di testa (Härkönen, 1998, p. 54).

Come documenti etnografici restano da citare dei modi dire che si sono conservati presso le lingue di alcune popolazioni europee e che sono impiegati per indicare una persona che sta facendo azioni folli, e dove vengono usati i funghi allucinogeni come mezzo di paragone. In Catalogna è comune il detto estar tocat de bolet (“essere toccato dal boleto”; Fericgla, 1985, pp. 163-9); in Austria Er hat verrückte Schwammerlin gegessen (“Ha mangiato i funghi matti”; Wasson & Wasson, 1957, 2, p. 239); in Ungheria, bolondgombát evett (“ha mangiato il fungo matto”; Ede, 1897, p. 188); in Yugoslavia, najeo se ljutih gljiva (“ha mangiato abbastanza il fungo della follia”; Wasson, 1986, p. 71). Non sempre queste citazioni ai funghi intendono indicare specificatamente l’agarico muscario (parrebbe essere vero per il detto catalano e per quello ungherese), ma indicano i funghi psilocibinici o una categoria generica di funghi inebrianti (si veda Samorini, 2022).

 

Si vedano anche:

 

 

CALVETTI ANSELMO, 1986, Fungo Agarico muscario e cappuccio rosso, Lares, vol. 52, pp. 555-565.

CZIGÁNY L.G., 1980, The use of hallucinogens and the shamanistic tradition of the Finno-Ugrian people, Slavonic and East European Review, vol. 58(2), pp. 212-217.

DÈ COLLI N., 1894-95, Credenze e superstizioni popolari nell’Abruzzo (piante e fiori), Rivista delle Tradizioni Popolari Italiane, vol. 2, pp. 388-392.

EDE MARGALITS, 1897, Magyar közmondások és közmondásszerü szólások [“Proverbi e modi di dire ungheresi”], Buschmann F., Budapest.

FERICGLA JOSÉ.MARIA, 1995, El bolet i la gènesi de les cultures, Alta Fulla, Barcelona.

FERICGLA JOSÉ.MARIA, Las supervivencia sulturales y el consumo actual de Amanita muscaria en Cataluña, Annali del Museo Civico di Rovereto, Suppl. vol. 8, pp. 245-256.

GRASSI BATISTA, 1880, Il nostro Agarico Moscario sperimentato come aliento nervoso, Gazzetta degli Ospitali di Milano, vol. 1, pp. 961-972.

HÄRKÖNOEN MARJA, 1998, Uses of mushrooms by Finns and Karelians, International Journal of Circumpolar Health, vol. 57, pp. 40-55.

HOPPÁL MIHÁLY, 1984, Traces of shamanism in Hungarian folk beliefs, in: M. Hoppál (Ed.), Shamanism in Eurasia, 2 vols., Herodot, Göttingen, vol. II, pp. 430-446.

ITKONEN T. IMMANUEL, 1946, Heidnische Religion und späterer Aberglaube bei den Finnischen Lappen, Suomalais-Ugrilaisen Seuran Toimituksia vol. 37, Helsinki.

SAMORINI GIORGIO, 1996, Un singolare documento storico inerente l’agarico muscario / A peculiar historical document about Fly-Agaric, Eleusis, vol. 4, pp. 3-16.

SAMORINI GIORGIO, 2022, Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno, Youcanprint, Tricase (LE).

TORO GIANLUCA, 2013, Funghi psicoattivi e racconti popolari: il mo-dello della fiaba di Cappuccetto Rosso in una testimonianza orale di Galliate (NO), Rivista di Micologia, vol. 3, pp. 263-267.

VANNONI GIAN MARIA, 2016, Etnobotanica totemica: Cappuccetto Rosso e Amanita muscaria, Quaderni di Semantica, n.s., vol. 2, pp. 219-227.

WASSON R. GORDON, 1972, Soma and the fly-agaric. Mr. Wasson’s Rejoinder to Professor Brough, Botanical Museum of Harvard University, Cambridge.

WASSON R. GORDON, 1986, Persephone’s Quest, in: AA.VV., Persephone’s Quest. Entheogens and the origins of religion, Yale University, New Haven, pp. 17-81.

WASSON P. VALENTINA & GORDON R. WASSON, 1957, Mushrooms, Russia and history, 2 vols., Pantheon Books, New York.

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