Lo yoco della Tripla Frontiera

The yoco of the Triple Border ethnies

 

Paullinia yoco come disegnata da Schultes (1942)

Paullinia yoco come disegnata da Schultes (1942)

Paullinia yoco R.E. Schult. & Killip è una liana amazzonica della famiglia delle Sapindaceae che produce caffeina.1 Alla medesima famiglia appartiene un’altra potente pianta caffeinica, il guaranà, Paullinia cupana Kunth.

L’area geografica dell’uso tradizionale dello yoco è alquanto ristretta, rispetto a quella di presenza della pianta, essendo limitata all’area amazzonica denominata della Tripla Frontiera. Comprende la Comisaría del Putumayo e la parte più occidentale della Comisaría del Caquetá in Colombia, e piccole aree del Peru e dell’Ecuador adiacenti alla Colombia. Le etnie che usano lo yoco sono: Inga, Umbría, Siona, Kofán, Aguarico e Coreguaje (Schultes, 1942, p. 321).

Chiamata yoco o yocó, questa liana viene usata principalmente come stimolante quotidiano, quando si lavora prima dell’alba nella preparazione di cesti e altri manufatti, per intraprendere un lungo viaggio a piedi o in canoa nella foresta, per cacciare e lavorare i campi, e il suo effetto generale è come soppressore della fame e della fatica. Secondo Bolivar (2007, p. 155-6), il termine yoco non è d’origine ingano, come aveva sospettato Schultes (1942), ma è più probabile che sia d’origine tukano occidentale.

Mappa di diffusione dell'uso dello yoco nell'area della Tripla Frontiera fra Colombia, Ecuador e Peru (da Schultes, 1942, tav. 28)

Mappa di diffusione dell’uso dello yoco nell’area della Tripla Frontiera fra Colombia, Ecuador e Peru (da Schultes, 1942, tav. 28)

Lo yoco viene raccolto principalmente allo stato selvatico, e raramente è stata osservata una sua coltivazione presso i villaggi. Ciò per via, probabilmente, della lentezza di crescita della pianta. Fino a non molto tempo fa, quando lo yoco selvatico attorno al villaggio si esauriva in seguito alla sua raccolta, vigeva il costume di abbandonare il villaggio e di ricostruirne uno in un luogo dove lo yoco fosse nuovamente abbondante (Schultes, 1987, p. 527).

Quando la liana viene trovata nella foresta, ne vengono tagliati pezzi lunghi 50-80 cm, che sono conservati nella parte più fresca della casa, dove mantengono le loro proprietà stimolanti per almeno un mese. Quando la liana si secca, non è più utile per il suo impiego come stimolante, poiché non è più possibile procedere all’estrazione acquosa fredda. La bevanda si prepara raschiando la parte tenera della corteccia, che produce una linfa di colore variabile; dopodiché le fibre così raschiate vengono schiacciate e spremute a mano in un poco d’acqua fredda, e il liquido così ottenuto viene bevuto sul momento.

Nativo Kofán mentre raschia la liana dello yopo per preparare la bevanda stimolante (da Schultes, 1942, tav. 29)

Nativo Kofán mentre raschia la liana dello yopo per preparare la bevanda stimolante (da Schultes, 1942, tav. 29)

I nativi distinguono fino a 14 varietà di yoco, e alcune di queste si riferiscono a specie botaniche differenti da P. yoco. Le etno-varietà più comuni sono lo “yoco bianco” e lo “yoco colorato”.

Due varietà di yoco riconosciute dai nativi: këje yocó (in primo piano) e sima yocó (da Bolivar et al., 2004, fig. 4, p. 41)

Due varietà di yoco riconosciute dai nativi: këje yocó (in primo piano) e sima yocó (da Bolivar et al., 2004, fig. 4, p. 41)

La varietà yagé yoco potrebbe indicare un suo impiego in associazione con lo yagé (ayahuasca), mentre la varietà canangucha yoco potrebbe indicare un suo utilizzo insieme alla chicha de cananguche, un fermentato alcolico preparato con i frutti di Mauritia minor Burrett (Schultes, 1942, p. 312). Lo quëje yoco (yoco copale) viene chiamato anche “yoco bianco”, e deve il suo nome all’odore di incenso del suo lattice; il ma yoco (yoco rosso) è considerato generalmente non buono per il consumo, poiché produce l’effetto negativo di generare rabbia (Bolivar et al., 2004, pp. 34-41).

Fra gli Airo Pai (Secoya) lo yoco viene bevuto principalmente al risveglio, che avviene a notte fonda, molte ore prima dell’alba, in quel periodo di tempo noto in castigliano come madrugada. Per primo si sveglia il capo famiglia, e poco dopo si alzano moglie e figli. Questo momento della giornata è dedicato al lavoro di intreccio della chambira, che è la fibra ricavata dall’Astrocaryum chambira, per costruire cesti e altri manufatti; un lavoro considerato prettamente maschile. Anche le donne possono aiutare l’uomo in questo lavoro, o dedicarsi alla costruzione di amache o a lavori di tessitura. Lo yoco è intimamente associato a questi lavori manuali, al punto che se non è disponibile, questi lavori non vengono eseguiti (Bolivar, 2007, p. 164). I nativi usano il concetto di botar pereza, “togliere la pigrizia” per descrivere gli effetti dello yopo (Belaunde et al., 2008, p. 104). È stato evidenziato come lo spazio sociale familiare di queste ore precedenti l’alba, intimamente legato all’assunzione dello yoco, oltre a dar luogo a un’attività collettiva di carattere produttivo-prestazionale (l’intreccio della chambira e la costruzione di amache e tessuti), crea la condizione propizia per gli insegnamenti, i consigli e l’educazione degli adulti nei confronti dei giovani (id., pp. 165-6). Un informatore Kofán – Andrea Ondilia – così commentava l’impiego dello yoco nel villaggio di Dureno, situato sulla riva destra del fiume Agarico, in Ecuador:

“Sempre sanno bere dalle sei della mattina, lo bevono per svegliarsi bene e per non avere fame. La nostra gente dice: bevendo yocco, uno deve torcere, uno deve piegare lavorare il filo. Così dicono cosa fa lo yocco; ad esempio, non si è tristi, gettato sull’amaca, gettato sul letto. Lo yocco gli fa muovere il corpo, allora uno ha bisogno di andare rapido e prende il suo machete e va alla chacra [campo di coltivazione], o ci sono alcuni che prendono il fucile e vanno a cacciare, o ci sono alcuni che prendono la loro ascia e vanno alla canoa a lavorare e per questo che bevono spesso, ossia bevono ogni mattina” (Califano & Gonzalo, 1995, pp. 179-180).

I nativi ritengono che chi beve yoco in maniera eccessiva o impropria diventi rabbioso, alzi la voce e sia incapace di convivere pacificamente con gli altri (Belaunde & Echeverri, 2008, p. 104).

Il cuacuiyó, il “padrone dello yoco”, Lipaugus vociferans (da Bolivar et al., 2004, fig. 13, p. 49)

Il cuacuiyó, il “padrone dello yoco”, Lipaugus vociferans (da Bolivar et al., 2004, fig. 13, p. 49)

La pianta dello yoco non è facilmente visibile nella foresta, poiché le sue liane, che si appoggiano ai tronchi di altri alberi, si innalzano sino a oltre 20 metri, per raggiungere e superare il livello delle chiome arboree, in modo che le sue foglie possano essere lambite dalla luce del sole. Per acquisire l’abilità di trovare e riconoscere la liana dello yoco, viene bevuto un preparato speciale, dove non solo la corteccia, bensì anche i nodi, le foglie e i semi dello yoco sono messi in un una pentola a bollire con l’acqua. L’assunzione di questo decotto deve essere accompagnato da un’astinenza sessuale. Dopo averlo assunto, l’individuo partecipa a una sessione sciamanica bevendo yagé, cercando di stabilire nella sua visione un contatto con il cuacuiyó, un uccello (Lipaugus vociferans) dispersore ecologico dei semi di yoco e considerato dai nativi il “padrone dello yoco”. Ma quest’operazione è considerata pericolosa, perché v’è sempre la possibilità che questo decotto e il contatto con il cuacuiyó non dia i risultati ricercati, bensì che trasformi l’individuo in un essere rabbioso (Belaunde & Echeverri, 2008, p. 104). Nuovamente appare la relazione fra rabbia e nervosismo con lo yoco, dove solamente un impiego appropriato e culturalmente integrato di questa bevanda caffeinica evita l’effetto collaterale della rabbia, ritenuta socialmente dannosa.

I primi riferimenti allo yoco si trovano negli scritti dei missionari del XVIII secolo. La descrizione più estesa si trova nell’opera Maravillas de la Naturaleza del 1758 del francescano Juan de Santa Gertudris, fondatore di una missione nel Putumayo, che qui riporto integralmente:

Vi sono in quella regione due liane singolari. Una è chiamata yoco. È una liana della dimensione di un polso, e di questa gli indios fanno una bevanda nella seguente maniera: raccolgono pezzi di questa liana e se li portano via; quando vogliono, prendono un pezzo, e con una conchiglia o con la lama del machete raschiano la corteccia, che è di color tabacco. Tutto il materiale raschiato lo mettono in una zucca vuota con acqua, e a forza di sfregamenti e di spremerlo con le mani, gli fanno liberare tutta la sostanza che si scioglie nell’acqua quasi colorata, e questo succo lo bevono. Il suo sapore è qualcosa di aspro. Essi dicono che fortifica loro il corpo, e che li infonde d’animo. Io ciò che sperimentai è che toglie la stanchezza e il fastidio del corpo, e che allo stesso tempo rinfresca. Non è una cattiva bevanda. E diventa migliore se se ne raccoglie in quantità, e dopo si bolle, e così bollito si imbottiglia, perché così fermenta, e fermentato è migliore. Questa è la bevanda generale di tutti gli indios del Putumayo, che di mattina e di sera bevono yoco. E quando andavo con loro per il fiume a cacciare o pescare, essi nel giungere in un qualche posto dove c’era questa liana, fermavano immediatamente la canoa. Io gli dicevo: enque re gico, che significa “che c’è?”. Essi rispondevano: yoco payqui payre, che significa “Padre, qui c’è yoco”. Al posto di Padre essi dicono payre, poiché non possono pronunciare “Padre”. Payqui significa “qui c’è”. E trovando yoco, non vanno via senza raccoglierlo e farne provvigione (Santa Gertudris, Maravillas de la Naturaleza, I, 7).

Stranamente, Santa Gertudris riporta la bollitura dello yoco e la sua fermentazione, un dato non registrato dagli altri cronisti antichi e dagli studiosi moderni, i quali riportano tutti invariabilmente l’esclusività della preparazione a freddo della bevanda, evidenziando la differenza di questo preparato dai prodotti caffeinici ottenuti mediante riscaldamento con le altre piante xantiniche.2 Ciò fa sospettare che la fermentazione dello yoco facesse parte di sperimentazioni tecniche personali del francescano. È pur vero che, come sopra accennato, con lo scopo di diventare bravi ricercatori della pianta, viene bevuto un decotto della liana, con l’aggiunta delle foglie e dei semi, ma nessuno ha mai riferito della pratica di fare fermentare tale decotto, che viene bevuto immediatamente dopo averlo preparato.

Quando assunto a dosaggi più alti, lo yoco ha proprietà purgative, che si esprimono con sintomi di vomito e diarrea, a cui i nativi sembrano essere periodicamente dediti, con lo scopo di purificare non solo il corpo, bensì di espellere i comportamenti e i pensieri negativi o antisociali, inclusi la rabbia e i pettegolezzi (Bolivar, 2007, p. 170).

L’antropologo colombiano Rafael Zerda Bayón (1906) sembra essere stato il primo studioso a raccogliere campioni di yoco nell’area del Caqueta, nel corso di una missione scientifica del 1905-1906 che lo portò anche a interessarsi dello yagé. Egli è noto per aver denominato il principio attivo isolato dalla liana di yagé (Banisteriopsis) telepatina. Riguardo lo yoco, Zerda determinò che la quantità media assunta dai nativi equivaleva a 5 g di corteccia.

Nel 1922 il botanico belga Florent Claes raccolse campioni della pianta dello yoco, anch’egli nella regione della Caqueta (Claes, 1931), e li inviò all’Università di Louvain, dove il chimico M. Michiels riscontrò la presenza di caffeina (Michiels & Denis, 1922) e il botanico de Wildeman (1926) effettuò un primo tentativo di identificazione tassonomica, riconoscendo lo yoco come Paullinia scarlatina Radkl. Più tardi Schultes (1943) identificò lo yoco come una nuova specie, Paullinia yoco Schultes & Killip.

Le etnie che usano yoco sono anche bevitrici di yagé, e sussiste una stretta relazione fra queste due bevande inebrianti. Sembra che l’assunzione di yoco rappresenti un passo importante nell’apprendistato sciamanico dello yagé. Payaguaje (1990) afferma che lo yoco “è l’anticamera dello yagé”. Fra i Siona della regione di Buena Vista della Colombia lo yoco è strettamente associato allo yagé nelle pratiche di cura sciamanica. Quando uno sciamano è capace di contattare gli spiriti e di curare con lo yagé, diventa capace anche di curare con lo yoco nella stessa maniera. Quando si cura con lo yoco, vengono usate canzoni e preghiere specifiche, differenti da quelle impiegate con lo yagé (Langdon, 1974).

Lo yoco è considerato un essere animato che da consigli ai giovani (Belaunde et al., 2008, p. 116). Gli “esseri dello yoco” (yoco pai), o “gente yoco vivente” (yoco huajé pai) abitano nelle sfere superiori del cosmo ubicate oltre il “cammino del sole”. Nelle visioni dello yagé questi esseri si presentano come giovani, maschi e femmine, che irradiano luce bianca, danzano e cantano allegramente (Belaunde & Echeverri, 2008, p. 93). Una volta “acquisiti” (contattati) con lo yagé, si presentano mediante i sogni, e parlano al dormiente, addirittura muovendo la sua amaca, cercando di svegliarlo affinché si metta al lavoro. Si ritiene che questi esseri dell’altro mondo bevano yoco, e che poi parlino in sogno agli uomini di questo mondo dicendo loro: “Alzati! Alzati per bere yoco, per lavorare la chambira” (Bolivar, 2007, p. 170-1).

I nativi usano lo yoco anche come medicina, con dosaggi maggiori di quelli impiegati come stimolante, come febbrifugo antimalarico e nel trattamento di una malattia biliosa che è frequente nel Putumayo (Schultes, 1943).

 

Note

1 – Analisi chimiche hanno evidenziato nella parte della corteccia sotto lo xylema la presenza di caffeina in concentrazioni dello 2-2,73% (Perrot & Rouhier, 1926; Rouhier & Perrot, 1926; Michiels & Denis, 1926). Più recentemente, Weckerle et al. (2003) vi hanno trovato solamente lo 0,5&% di alcaloidi caffeinici; una concentrazione che tuttavia non rende conto del potente effetto stimolante riconosciuto sia dai nativi che dagli studiosi che hanno avuto la possibilità di sperimentare su se medesimi la bevanda.

2 – Caffeina, teobromina e teofillina sono chiamati cumulativamente “alcaloidi xantinici”, da cui l’aggettivazione di piante e composti “xantinici”.

 

Si vedano anche:

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BELAUNDE E. LUISA & JUAN A. ECHEVERRI, 2008, El yoco del cielo es cultivado: perspectivas sobre Paullinia yoco en el chamanismo airo-pai (Secoya-Tucano Occidental), Anthropologica, vol. 26, pp. 87-111.

BELAUNDE E. LUISA et al., 2008, “Como un padre que da consejo”. Paullinia yoco entre los airo-pai del Perú, en: M. Lenaerts & A.M. Spadafora (cur.), Pueblos indígenas, plantas y mercados. Amazonía y Gran Chaco, Flacso/Zeta Books, Bucarest, pp. 103-131.

BOLÍVAR E. EDUARDO et al., 2004, “Botando pereza”: el yoco entre los Secoya del Putumayo, Universidad Nacionale de Colombia & RENACO, Leticia.

BOLÍVAR E. EDUARDO, 2007, Consejos para vivir bien: una perspectiva histórica sobre los diferentes usos del bejuco yoco, Amazonia Noroccidental, en: V. Nieto & G. Palacio (cur.), La Amazonia desde dentro. Aportes a la investigación de la Amazonia colombiana, Universidad Nacional de Colombia & Instituto Amazónico de Investigaciones, Bogota, pp. 153-177.

CALIFANO MARIO & JUAN ANGEL GONZALO, 1995, Los A’I del Río Aguarico. Mito y cosmovisión, Abya-Yala, Quito.

CLAES FLORENT, 1931-32, Chez les Indiens Huitotos et Correguajes, Bulletin de la Société Royale Belge de Géographie, vol. 55, pp. 88-106, pp. 190-194; vol. 56, pp. 27-51.

LANGDON E. JEAN, 1974, The Siona medical system. Beliefs and behavior, PhD Dissertation, University of Tulane.

MICHIELS L. & P. DENIS, 1926, Sur la liane Yocco et sur la présence de Caféine dans les Paullinias, Journal de Pharmacie de Belgique, vol. 43, pp. 795-797.

PAYAGUAJE FERNANDO, 1990, El bebedor de yagé, Vicariato Apostólico de Aguarico, Quito.

PERROT E. & ALEXANDER ROUHIER, 1926, Le Yocco, nouvelle drogue simple à caféine, Comptes Rendus Hebdomadaires des Séances de l’Académie de Sciences, vol. 182, pp. 1494-1496.

ROUHIER ALEXANDER & ÉMILE PERROT, 1926, Le “yocco”, nouvelle drogue simple à caféine, Bulletin des Sciences Pharmacologiques, vol. 33, pp. 537-539.

SANTA GERTUDRIS JUAN, 1758, Maravillas de la naturaleza, 4 voll., manoscritto conservato presso la Biblioteca de Montesión di Palma de Mallorca.

SCHULTES E. RICHARD, 1942, Plantae Colombianae II. Yoco: a stimulant of Southern Colombia, Botanical Museum Leaflets Harvard University, vol. 10 (10), pp. 301-324.

SCHULTES E. RICHARD, 1943, Plantae Colombianae IV. Una planta estimulante del Putumayo, Revista de la Facultad Nacional de Agronomia, pp. 59-79.

SCHULTES E. RICHARD, 1951, Le Paullinia yoco et son emploi comme stimulant, Revue Internationale de Botanique Appliquée et d’Agriculture Tropicale, vol. 31, pp. 279-290.

SCHULTES E. RICHARD, 1987, A Caffeine drink prepared from bark, Economic Botany, vol. 41, pp. 526-527.

WECKERLE S.CAROLINE, MICHAEL A. STUTZ & THOMAS W. BAUMANN, 2003, Purine alkaloids in Paullinia, Phytochemistry, vol. 64, pp. 735-742.

WILDEMAN (de) É., 1926, Sur le Yocco, plante à caféine originaire de Colombie, Comptes Rendus Hebdomadaires des Séances de l’Académie de Sciences, vol. 183, pp. 1350-1351.

ZERDA BAYON RAFAEL, 1906, Informe del jefe de la expedición científica del año 1905 á 1906. Lista de las muestras de productos del Caquetá, y que podrán ser artículos de exportación, Revista del Ministerio de Operas Públicas y Fomento, Colombia, Año I, vol 1, N. 10, pp. 294-303.

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