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Quest' opera di Giorgio Samorini è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
L’uso moderno del badoh negro
The modern use of badoh negro (Ipomoea)
I semi visionari di Ipomoea violacea (famiglia delle Convolvulaceae) sono usati come agente diagnostico-curativo e divinatorio sin dai tempi antichi presso diverse popolazioni messicane (si veda I semi “parlanti” messicani).
MacDougall (1960) fu il primo studioso moderno a riconoscere l’uso attuale dei semi di Ipomoea violacea fra le popolazioni della regione di Oaxaca, in particolare fra gli Zapotechi. In alcuni villaggi vengono usati solo i semi di Ipomoea, i badoh negro, mentre nelle altre regioni sono impiegati sia i badoh negro che i badoh (ololiuhqui, Turbina corymbosa), sebbene i primi siano considerati più potenti. In alcuni luoghi il badoh negro è considerato “maschio” e viene assunto dagli uomini, mentre il badoh è considerato “femmina” e viene usato dalle donne.
Wasson riportò quanto riferitogli da una curandera mazateca di nome Paula Jiménez, del villaggio di San Bartolo Yautepec (stato di Oaxaca), circa l’uso dei “semi della Vergine”, un altro nome attribuito ai badoh negro:
Innanzitutto la persona che deve prendere i semi deve andare da sola a raccoglierli, uscire e tagliare i rami con i semi. Si deve rivolgere anche un voto alla Vergine a favore della persona malata, in modo che il seme abbia effetto su di lui. Se non c’è tale voto, non ci sarà effetto. La persona malata deve cercare un bambino di sette-otto anni, una bambina se il paziente è un uomo, un bambino se la paziente è una donna. Il bambino deve essere lavato e vestito con vesti pulite, tutto fresco e pulito. Viene quindi misurata la quantità di semi, la quantità che riempie il palmo della mano o un piccolo ditale. Il periodo dovrebbe essere giovedì, comunque di notte, circa alle otto o nove di sera, e non ci deve essere alcun rumore, proprio alcun rumore. Mentre si macinano i semi all’inizio si deve dire: “Nel nome di Dio e della Verginella [Vergencita], sia gradito e piacevole il rimedio, e dicci, Verginella, cosa c’è che non va con il paziente. Le nostre speranze sono in te”.
Per filtrare i semi macinati si deve usare una stoffa pulita – possibilmente una nuova stoffa. Quando si da la bevanda al paziente, si devono dire tre Padre Nostro e tre Ave Maria. Un bambino deve portare la tazza nelle sue mani, insieme a un incensiere. Dopo aver bevuto il liquido, il paziente si sdraia. La tazza con l’incensiere viene posta sotto al letto dalla parte della testa. Il bambino deve restare, avendo cura del paziente e ascoltando che cosa questi dirà. Se c’è un miglioramento, il paziente non si alza e rimane a letto. Se non c’è miglioramento, il paziente si alza e si sdraia nuovamente davanti all’altare. Vi sta per un po’ di tempo, e quindi si rialza e torna a letto, e non dovrebbe parlare sino al giorno seguente, E così ogni cosa viene rivelata. Viene detto se il malanno è frutto di un atto di malizia o se sia una malattia vera e propria (Wasson, 1963, p. 182).
Recentemente, nel distretto di Huajuapan de León dello stato di Oaxaca è stato osservato fra i Mixtechi l’impiego divinatorio dei semi di Ipomoea violacea mescolati con semi di Datura stramonium. Le due piante sono chiamate in mixteco rispettivamente yukú iá sií (“erba della vergine”) e yukú de san José (“erba di san José”) (Fagetti, 2012). E’ stata osservata una composizione di 4g di semi di Ipomoea e 2g di semi di Datura (López Moreno, 2008, p. 182).
Queste pratiche sono gestite e guidate da donne specialiste. Affinché i semi siano efficaci, li si deve acquistare. Il giorno stabilito per la pratica divinatoria non deve essere un giorno di funerali nel paese, poiché deve essere un giorno dove “sono chiuse le porte dell’inferno”. Un giorno propizio è la domenica, e il seme viene assunto di notte, nel completo silenzio, cercando di non far abbaiare cani o latrare somari, altrimenti il seme potrebbe prendersi paura e non permettere una buona visione. Il seme non deve essere preso dalle donne incinta, poiché può provocare l’interruzione della gravidanza, e ciò corrisponde con la conoscenza farmacologica delle proprietà uterotoniche degli alcaloidi lisergici presenti nei semi di Ipomoea. Inoltre, il seme non deve essere assunto durante la stagione delle piogge, corrispondente al periodo di crescita della pianta di Ipomoea, poiché si rischia di impazzire.
“Prima di essere macinati, i semi vengono portati in chiesa e riposti sotto l’abito di una rappresentazione della Vergine o di Santo Domingo, e li si lascia per un paio di giorni; altrimenti, li si lasciano sull’altare domestico. Una volta macinati, una parte della farina così ottenuta viene diluita nell’aguardiente (superalcolico) e con acqua benedetta, o solamente con acqua benedetta, e questa è la bevanda che viene data da bere al malato. La parte restante della farina di semi rientra come ingrediente di una miscela di erbe che vengono preparate e impiegate per ungere il corpo del malato. Molti di questi composti vegetali sono odorosi.
Dopo l’unzione, vengono premuti contro le tempie e le ciglia tre monete e fiori o foglie di Brugmansia arborea. Dopodiché il malato si sdraia e si copre con una coperta in attesa degli effetti dei semi. La donna che assiste sta seduta dietro al malato, non parla e si pone in uno stato di attenzione e di ascolto.
La pozione di semi ha un effetto emetico, e a volte purgante sul corpo di chi la assume, e l’atto di vomitare è ritenuto necessario in quanto pulisce lo stomaco. Nel giro di una o due ore “il seme inizia a parlare” attraverso la persona che l’ha ingerito; questi usa di frequente la prima persona plurale, cioè il “noi”. Il seme “svela il mistero che grava sul malato: rivela la sofferenza che lo affligge e come originò, chi la procurò, come si può curare e, se la situazione lo permette, procede alla cura” (Fagetti, 2012, p. 241).
Come esempio, si riporta una delle comunicazioni trascritte dalla Fagetti, riguardante una signora di nome Modesta che si curò con i semi una cattiva tosse, che le fu causata per cattiveria:
Molti anni fa, avevo trentacinque anni, fui sopraffatta da una tosse. Non c’era qui acqua, non c’era luce, trasportavo un secchio fino a una fonte, andavo a prendere l’acqua e tornai tossendo e tossendo.. Mi disse una signora:
– Bevi il seme, perché questo male non è buono, che tanto ti afferra la tosse! E cercai il seme, me lo macinarono un poco e me lo bevvi … mi sdraiai, e quando vidi, questo medesimo animalino mi alzò, questa formica colorata! E una donna che si sta prendendo cura di me:
– Bevi un altro poco, perché questo animalino ti sta nuocendo!
Pura formichina colorata era, la vidi e di seguito vidi la signora che era ferma fuori: mia suocera! Era di cattiva anima, era cattiva! Stava fuori, ripiegata vicino alla porta:
– Entri dentro! Perché sta li?
– No, qui non più, disse.
Durante la notte uscii e vomitai. La malattia uscì via! (Fagetti, 2012, p. 246).
Come accade fra gli Zapotechi, che ritengono che gli effetti dei semi non si dileguino da soli, ma sia necessaria una specifica pratica per eliminarli dal corpo – quella del se chupa (si veda L’uso moderno dell’ololiuhqui), così anche fra i Mixtechi è necessario limpiar (“pulire) il corpo di chi ha assunto i semi della Vergine. Questa limpia avviene versando dell’acqua giù per la schiena e coprendo il corpo con un mantello bianco e con l’impiego di foglie di Casimiroa edulis, le quali facilitano il sonno. Il giorno seguente si sottopone il paziente a un bagno di vapore con il temascal, con lo scopo di eliminare dal corpo, attraverso il sudore, gli ultimi residui degli effetti dei semi, considerati dannosi (Fagetti, 2012, pp. 247-8).
Si vedano anche:
FAGETTI ANTONELLA, 2012, Cuando “habla” la semilla: adivinación y curación con enteógenos en la Mixteca oaxaqueña, Cuicuilco, vol. 19, pp. 229-255.
LÓPEZ MORENO JAQUELINA, 2008, Estudio etnobotánico en el municipio de Santo Domingo Yodohino, distrito de Huajuapan de León, Oaxaca, Tesis de licenciatura en Ingeniería en Agroecología, Universidad Autónoma Chapingo.
MACDOUGALL THOMAS, 1960, Ipomoea tricolor, a hallucinogenic plant of the Zapotec, Boletín Centro de Investigación Antropológicas de México, vol. 6(6), pp. 6-8.
WASSON R.GORDON, 1963, Notes on the present status of ololiuhqui and the other hallucinogens of Mexico, Botanical Museum Leaflets Harvard University, vol. 20(6), pp. 161-193.