L’uso di formiche psicoattive updated: 2022-06-05T12:11:22+01:00 by giorgio
Formica della specie Pogonomyrmex californicus (da Groark 1996, fig. 1, p. 4, da un disegno originale di J. Young)
The use of psychoactive ants among the Californian tribes
Sino al termine del Periodo Missionario, diversi gruppi di nativi della California utilizzavano la pianta allucinogena-delirogena del toloache (Datura wrightii Regel, Solanaceae) per contattare il mondo sovrannaturale e acquisire poteri sciamanici. Essi utilizzavano anche un’altra fonte visionaria, che in certi casi consideravano più potente della datura: formiche rosse del genere Pogonomyrmex, il cui doloroso pizzico è noto alle popolazioni indigene (Blackburn, 1976).
Le etnie maggiormente coinvolte in questa pratica riguardavano gruppi Shoshoni della California del sud (Kitanemuk, Kawaiisu, Tübatulabal e diversi gruppi Chumash di lingua hokan). Anche alcuni gruppi di Yokuti della California centrale e i Miwok della California settentrionale erano dediti a questa pratica mirmecofila, seppure in forma attenuata (Groark, 2001).
Il motivo principale dell’assunzione delle formiche era per conseguire un “aiutante onirico”, generalmente sotto l’aspetto di un animale. Questo si poteva ottenere attraverso la ricerca di una visione indotta anche dalla datura. La differenza principale consisteva nel fatto che la datura veniva assunta collettivamente nel corso dei riti iniziatici dei giovani, mentre l’assunzione delle formiche era individuale e volontaria. Nella ricerca di poteri sciamanici formiche e/o toloache (datura) venivano ingeriti per molti mesi o per diversi anni.
Le descrizioni più dettagliata sull’impiego delle formiche si trovano note di campo etnografiche di John Peabody Harrington datate agli inizi del XX secolo, note che sono rimaste inedite.
Fra i Chumash della California meridionale, se un giovane desiderava acquisire uno “spirito alleato”, doveva seguire la seguente procedura: si faceva accompagnare da una “dottoressa delle formiche” – una donna anziana del villaggio specializzatasi in questo compito – in un luogo appartato, a cielo aperto. Dopo tre giorni di digiuno e di vomiti notturni indotti per purificare il corpo, l’aspirante visionario si sdraiava sul terreno a schiena in giù; seduta accanto, l’anziana donna gli porgeva sulla bocca una piccola pallottola inumidita di peluria di aquila, attorno alla quale erano avvinghiate 4-5 formiche vive. Il giovane doveva aspirare la pallottola con un unico soffio, in modo tale che non si fermasse nella bocca, ma fosse deglutita direttamente nello stomaco.
Una dopo l’altra, il giovane poteva assumere sino a 90 pallottole, per un totale di circa 400 formiche. Queste dovevano restare vive nello stomaco; se fossero morte, sarebbe morto anche il giovane. Terminata l’assunzione, la donna muoveva energicamente il corpo del giovane, lo tamburellava allo stomaco, lo faceva rotolare avanti e indietro sul terreno, lo colpiva ai fianchi, e in tal modo le formiche ingoiate, impaurite, si mettevano a mordere la parete interna dello stomaco, iniettando tutte contemporaneamente il loro veleno.
Come conseguenza di ciò il giovane perdeva conoscenza ed esperiva la visione così dolorosamente ricercata. Tutta la fase di assunzione di formiche vive – che non risparmiavano morsi a destra e a manca mentre scendevano nell’esofago – era accompagnata da una forte sensazione di bruciore alla gola, che aumentava sempre più, fino al momento della perdita di conoscenza. Se aveva assunto le formiche di prima mattina, il giovane riprendeva conoscenza nel pomeriggio. A questo punto egli beveva dell’acqua calda per indurre il vomito e permettere il “ritorno a casa” delle sacre formiche, rimaste vive per tutto quel periodo di tempo.
Ciò era solo l’inizio di una serie di “scorpacciate” di formiche, a 400 per volta, che si susseguivano per 2 o 3 volte al giorno, per 3, 4 o più giorni, sino al momento in cui le formiche ingerite trovavano da sole la via del “ritorno a casa”, cioè risalivano l’esofago e fuoriuscivano dalla bocca, senza più doverle vomitare. A quel punto si era completato il contatto con lo spirito alleato, che aveva scelto il giovane conferendogli le sue virtù (Harrington, 1986, rip.in Groark, 1996, pp. 8-9). Le formiche impiegate dai Chumash (Pogonomyrmex californicus) sono da loro denominate shutulhul (pronuncia shuetulhul) (Adams & Garcia, 2005).
Fra i Tübatulabal il dosaggio di formiche è minore; al giovane vengono somministrate 7 piume d’aquila, ognuna contenete 5 formiche, che vengono deglutite con l’aiuto di acqua. Quando il bulbo oculare del ragazzo diventa rosso, viene sospesa la somministrazione di formiche, ritenendo che quelle ingurgitate siano sufficienti. Dopodiché si procede all’agitazione del corpo del ragazzo con lo scopo che le formiche ingerite lo pungano dal di dentro (Voegelin, 1938, pp. 67-8).
Ogni spirito aiutante che appare durante la visione indotta dalle formiche offre all’individuo i suoi poteri (virtud). Il gavilan (un uccello) e il coyote gli danno l’abilità di lanciare due frecce in una volta, il serpente lo avviserà di quando nella realtà i serpenti staranno per morderlo, ecc. Perfino i fantasmi gli danno il loro potere di diventare invisibile (ibid., p. 10).
Le medesime formiche erano impiegate dalle etnie californiane nei riti di iniziazione dei giovani, come prova di forza e di coraggio, e per scopi terapeutici, nella cura di paralisi, disturbi gastrointestinali, artriti e altre affezioni.
La specie di formica coinvolta in questa pratica è stata determinata come Pogonomyrmex californicus Buckley (Groark 2001). Il genere Pogonomyrmex produce diversi composti biologicamente attivi e tossici, fra cui peptidi, neurotossine e alcaloidi (cfr. es. Schmidt & Blum 1978). Groark (1996) ha determinato che la dose impiegata nell’uso tradizionale per scopi visionari dai nativi della California rappresentava circa il 35% della dose letale.
ADAMS D. JAMES & CECILIA GARCIA, 2005, Spirit, mind and body in Chumash healing, Evidence Based on Complementary Alternative Medicine, vol. 2(2), pp. 459-463.
BLACKBURN THOMAS, 1976, A query regarding the possible hallucinogenic effects of ant ingestion in south-central California, Journal of California Anthropology, vol. 3(2), pp. 78-81.
GROARK P. KEVIN, 1996, Ritual and Therapeutic Use of “Hallucinogenic” Harvester Ants (Pogonomyrmex) in Native South-Central California, Journal of Ethnobiology, vol. 16, pp. 1-29.
GROARK P. KEVIN, 2001, Taxonomic Identity of “Hallucinogenic” Harvester Ant (Pogonomyrmex californicus) Confirmed, Journal of Ethnobiology, vol. 21, pp. 133-144.
SCHMIDT O. JUSTIN & MURRAY S. BLUM, 1978, Pharmacological and Toxicological Properties of Harvester Ant, Pogonomyrmex badius, Venom Toxicon, vol. 16, pp. 646-651.
VOEGELIN W. ERMINIE, 1938, Tübatulabal ethnography, University of California Press, Berkeley.
L’uso di formiche psicoattive
The use of psychoactive ants among the Californian tribes
Sino al termine del Periodo Missionario, diversi gruppi di nativi della California utilizzavano la pianta allucinogena-delirogena del toloache (Datura wrightii Regel, Solanaceae) per contattare il mondo sovrannaturale e acquisire poteri sciamanici. Essi utilizzavano anche un’altra fonte visionaria, che in certi casi consideravano più potente della datura: formiche rosse del genere Pogonomyrmex, il cui doloroso pizzico è noto alle popolazioni indigene (Blackburn, 1976).
Le etnie maggiormente coinvolte in questa pratica riguardavano gruppi Shoshoni della California del sud (Kitanemuk, Kawaiisu, Tübatulabal e diversi gruppi Chumash di lingua hokan). Anche alcuni gruppi di Yokuti della California centrale e i Miwok della California settentrionale erano dediti a questa pratica mirmecofila, seppure in forma attenuata (Groark, 2001).
Il motivo principale dell’assunzione delle formiche era per conseguire un “aiutante onirico”, generalmente sotto l’aspetto di un animale. Questo si poteva ottenere attraverso la ricerca di una visione indotta anche dalla datura. La differenza principale consisteva nel fatto che la datura veniva assunta collettivamente nel corso dei riti iniziatici dei giovani, mentre l’assunzione delle formiche era individuale e volontaria. Nella ricerca di poteri sciamanici formiche e/o toloache (datura) venivano ingeriti per molti mesi o per diversi anni.
Le descrizioni più dettagliata sull’impiego delle formiche si trovano note di campo etnografiche di John Peabody Harrington datate agli inizi del XX secolo, note che sono rimaste inedite.
Fra i Chumash della California meridionale, se un giovane desiderava acquisire uno “spirito alleato”, doveva seguire la seguente procedura: si faceva accompagnare da una “dottoressa delle formiche” – una donna anziana del villaggio specializzatasi in questo compito – in un luogo appartato, a cielo aperto. Dopo tre giorni di digiuno e di vomiti notturni indotti per purificare il corpo, l’aspirante visionario si sdraiava sul terreno a schiena in giù; seduta accanto, l’anziana donna gli porgeva sulla bocca una piccola pallottola inumidita di peluria di aquila, attorno alla quale erano avvinghiate 4-5 formiche vive. Il giovane doveva aspirare la pallottola con un unico soffio, in modo tale che non si fermasse nella bocca, ma fosse deglutita direttamente nello stomaco.
Una dopo l’altra, il giovane poteva assumere sino a 90 pallottole, per un totale di circa 400 formiche. Queste dovevano restare vive nello stomaco; se fossero morte, sarebbe morto anche il giovane. Terminata l’assunzione, la donna muoveva energicamente il corpo del giovane, lo tamburellava allo stomaco, lo faceva rotolare avanti e indietro sul terreno, lo colpiva ai fianchi, e in tal modo le formiche ingoiate, impaurite, si mettevano a mordere la parete interna dello stomaco, iniettando tutte contemporaneamente il loro veleno.
Come conseguenza di ciò il giovane perdeva conoscenza ed esperiva la visione così dolorosamente ricercata. Tutta la fase di assunzione di formiche vive – che non risparmiavano morsi a destra e a manca mentre scendevano nell’esofago – era accompagnata da una forte sensazione di bruciore alla gola, che aumentava sempre più, fino al momento della perdita di conoscenza. Se aveva assunto le formiche di prima mattina, il giovane riprendeva conoscenza nel pomeriggio. A questo punto egli beveva dell’acqua calda per indurre il vomito e permettere il “ritorno a casa” delle sacre formiche, rimaste vive per tutto quel periodo di tempo.
Ciò era solo l’inizio di una serie di “scorpacciate” di formiche, a 400 per volta, che si susseguivano per 2 o 3 volte al giorno, per 3, 4 o più giorni, sino al momento in cui le formiche ingerite trovavano da sole la via del “ritorno a casa”, cioè risalivano l’esofago e fuoriuscivano dalla bocca, senza più doverle vomitare. A quel punto si era completato il contatto con lo spirito alleato, che aveva scelto il giovane conferendogli le sue virtù (Harrington, 1986, rip.in Groark, 1996, pp. 8-9). Le formiche impiegate dai Chumash (Pogonomyrmex californicus) sono da loro denominate shutulhul (pronuncia shuetulhul) (Adams & Garcia, 2005).
Fra i Tübatulabal il dosaggio di formiche è minore; al giovane vengono somministrate 7 piume d’aquila, ognuna contenete 5 formiche, che vengono deglutite con l’aiuto di acqua. Quando il bulbo oculare del ragazzo diventa rosso, viene sospesa la somministrazione di formiche, ritenendo che quelle ingurgitate siano sufficienti. Dopodiché si procede all’agitazione del corpo del ragazzo con lo scopo che le formiche ingerite lo pungano dal di dentro (Voegelin, 1938, pp. 67-8).
Ogni spirito aiutante che appare durante la visione indotta dalle formiche offre all’individuo i suoi poteri (virtud). Il gavilan (un uccello) e il coyote gli danno l’abilità di lanciare due frecce in una volta, il serpente lo avviserà di quando nella realtà i serpenti staranno per morderlo, ecc. Perfino i fantasmi gli danno il loro potere di diventare invisibile (ibid., p. 10).
Le medesime formiche erano impiegate dalle etnie californiane nei riti di iniziazione dei giovani, come prova di forza e di coraggio, e per scopi terapeutici, nella cura di paralisi, disturbi gastrointestinali, artriti e altre affezioni.
La specie di formica coinvolta in questa pratica è stata determinata come Pogonomyrmex californicus Buckley (Groark 2001). Il genere Pogonomyrmex produce diversi composti biologicamente attivi e tossici, fra cui peptidi, neurotossine e alcaloidi (cfr. es. Schmidt & Blum 1978). Groark (1996) ha determinato che la dose impiegata nell’uso tradizionale per scopi visionari dai nativi della California rappresentava circa il 35% della dose letale.
Si vedano anche:
ADAMS D. JAMES & CECILIA GARCIA, 2005, Spirit, mind and body in Chumash healing, Evidence Based on Complementary Alternative Medicine, vol. 2(2), pp. 459-463.
BLACKBURN THOMAS, 1976, A query regarding the possible hallucinogenic effects of ant ingestion in south-central California, Journal of California Anthropology, vol. 3(2), pp. 78-81.
GROARK P. KEVIN, 1996, Ritual and Therapeutic Use of “Hallucinogenic” Harvester Ants (Pogonomyrmex) in Native South-Central California, Journal of Ethnobiology, vol. 16, pp. 1-29.
GROARK P. KEVIN, 2001, Taxonomic Identity of “Hallucinogenic” Harvester Ant (Pogonomyrmex californicus) Confirmed, Journal of Ethnobiology, vol. 21, pp. 133-144.
SCHMIDT O. JUSTIN & MURRAY S. BLUM, 1978, Pharmacological and Toxicological Properties of Harvester Ant, Pogonomyrmex badius, Venom Toxicon, vol. 16, pp. 646-651.
VOEGELIN W. ERMINIE, 1938, Tübatulabal ethnography, University of California Press, Berkeley.